Forse era un fantasma. Forse ho solo avuto l’impressione che mi passasse accanto quel ragazzo, in una strada di Palermo, mentre mi riempiva di insulti sconnessi e incomprensibili, proprio l’altro giorno.
Forse era appena un’ombra, un fantasma in carne e ossa, col lenzuolo accecato dal biancore di chissà quale solitudine. Uno di quelli che, di solito, non vediamo. E che aveva scelto una strada per essere visto, nel suo malessere.
Non lo conoscevo e non credo che mi conoscesse. Non aveva l’aria di uno che volesse offendere me in quanto tale. Piuttosto, il suo sembrava un delirio sgorgato da un altrove indicibile.
L’ho visto andare, dopo avere abbassato gli occhi, per non fomentare la sua rabbia. Provavo paura per me e pena per lui. Paura di una aggressività in rapida accensione. Pena per l’origine ignota del magma, ma sicuramente riferibile al dolore.
Non è successo niente. Ma subito ho pensato ai fantasmi di Palermo, non le anime in pena degli insepolti dei Rotoli – quel sacrilegio è stato sanato – la sofferenza nella carne viva dei vivi.
Ai ragazzi che ciondolano, pensavo, con la loro gioventù sformata e devastata dal crack. Alle bocche spalancate dalla miseria. Alle vite abbandonate negli angoli lerci. Alla città considerata residuo che quasi nessuno raccoglie. Alle esistenze senza rete che cadono, quotidianamente.
I fantasmi del canto dolente di Palermo gridano, nel silenzio del contesto. Il fantasma prosciugato del passato, nell’esaltazione di una bella bandiera antimafia, oggi sempre più sdrucita, tra divisioni, polemiche e interessi. Il fantasma digrignante del presente, con la violenza. Il fantasma di un futuro indecifrabile e inquietante.
Sulla sicurezza c’è stato un dibattito al Comune, con il sindaco in aula. Sono state snocciolate cifre, annunciati impegni: non mi pare che sia stata buttata la palla nella tribuna esclusiva della percezione, perché il discorso era articolato e approdava alla necessaria rigenerazione urbana.
Tuttavia, in quella relazione ordinata del primo cittadino i fantasmi non vibravano. Spiccavano i numeri, le statistiche, ma non si abbracciava compiutamente il senso d’inquietudine che serra Palermo in una morsa.
E quei fantasmi non c’erano nemmeno nei discorsi dei consiglieri, già concentrati sulla campagna elettorale ventura, tra destra e sinistra (così almeno mi è sembrato). C’era un sottofondo chiassoso, come di scolaresca indisciplinata. Non c’erano gli invisibili.
La violenza, certo. La necessità di sicurezza, certo. Le strade, la vivibilità, la pulizia: certo, certo, certo. Ci sono risposte che occorrono. Ci sono soluzioni che richiedono pragmatismo immediato.
Però, protesa nel suo orizzonte nebuloso, questa città non farà mai pace con se stessa, fino a quando metterà ai margini le oscurità che la affollano. Se non le accoglierà. Se non proverà a illuminarle. Se non tenterà di includerle, dal centro alle periferie, in un orizzonte per parlare ed essere davvero ascoltati.
Palermo, invece, non si incontra più. Palermo non si specchia più nella speranza, per responsabilità diffuse. Palermo non si riconosce più. Palermo somiglia, da moltissimi anni, all’inospitale fantasma di se stessa.
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