Lagalla e Schifani, il 'ricatto' del sistema di cui entrambi fanno parte

Lagalla e Schifani, il ‘ricatto’ del sistema di cui entrambi fanno parte

I mal di pancia e le difficoltà di manovra del presidente e del sindaco
SEMAFORO RUSSO
di
2 min di lettura

C’è una palese contraddizione nella politica regionale e palermitana scarsamente rilevata anche da esperti del Diritto e commentatori. Riguarda l’elezione diretta del presidente della Regione e dei sindaci. Fermiamoci un attimo sull’attualità, sul presidente, Renato Schifani, e sul sindaco di Palermo, Roberto Lagalla. Entrambi sembrano, in realtà c’è da pensare che lo siano veramente, totalmente prigionieri delle basse logiche di partito, dello scontro tra correnti e delle ambizioni personali dei capibastone, consiglieri comunali e deputati regionali acchiappavoti.

Entrambi, possiamo affermare fin dalle prime battute, hanno dovuto subire e ancora subiscono, è cronaca politica, i ricorrenti mal di pancia della maggioranza che li sostiene rispettivamente all’Ars e a Palazzo delle Aquile, i continui cambi di casacca, la quotidiana richiesta di rimpasti in giunta. Strano, verrebbe da dire, perché queste fibrillazioni, manovre, questi riposizionamenti, che nulla hanno di ideale ma sono dettati dalle convenienze private di politicanti in carriera, ricordano i tempi in cui le massime cariche della Regione e della città venivano scelte non dai cittadini ma all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana e di Sala delle Lapidi.

Tempi bui probabilmente, in cui le sorti delle istituzioni erano in mano ad ambigui e spregiudicati potentati, pure vicino alla mafia. In ogni caso i presidenti e i sindaci spesso rimanevano in carica pochi mesi; il gioco, insomma, era condotto dalle correnti democristiane, dai partiti satelliti della Prima Repubblica e dai socialisti. Con Piersanti Mattarella e Leoluca Orlando arrivarono le aperture alla sinistra, al Partito Comunista.

La ratio legis, la filosofia che governa la scelta legislativa di eleggere presidente della Regione e sindaci con il voto degli elettori è quella di sottrarre i vertici istituzionali dalle fauci dei partiti (nel frattempo divenuti delle accozzaglia di fazioni o feudi personali di leader politici), dalle oscure decisioni prese nel segreto di stanze e stanzini lontano dal controllo dell’opinione pubblica.

Invece cosa sta succedendo? Sta succedendo che il presidente della Regione e il sindaco di Palermo sono stati sì eletti dal corpo elettorale ma non rispondono ai cittadini bensì ai notabili di partito, costretti ad obbedire ai loro diktat, con ciò che ne consegue: il totale immobilismo degli esecutivi e delle assemblee i cui componenti sono distratti da meschine lotte per il potere e relative poltrone.

Ovviamente ciò è possibile, nella fattispecie, perché Schifani e Lagalla fanno parte a pieno titolo di tale sistema e non oppongono la forza dell’elezione diretta minacciando le proprie dimissioni, se necessario, mandando tutti a casa. In conclusione, qualcosa non quadra, la pietanza è sempre la medesima e a pagarne il conto è la collettività.

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