L'antimafia e il mio cane - Live Sicilia

L’antimafia e il mio cane

La domenica di Livesicilia
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3 min di lettura

Il mio cane, come spesso accade ai cani, è piuttosto capriccioso. Ama prolungare le sue passeggiate più del dovuto. Come spesso accade ai cani cerca di precedermi. In una poesia di Billy Collins (devo la citazione al grande D’Orrico), il poeta lascia che sia il cane a parlare del suo padrone. Meraviglioso dono dei poeti, quello di far accadere l’impensabile. Il cane immagina il giorno in cui, morendo, precederà il suo padrone nell’al di là, come faceva durante le loro passeggiate nel bosco.

Non abito vicino ad un bosco, ma qualche volta anch’io ho la sensazione che sia il mio cane a condurmi in giro. Vivo a Pallavicino, un bel quartiere palermitano non distante dal parco della Favorita, a pochi minuti dal mare di Mondello, dove i fruttivendoli sono aperti fino a tardi e puoi trovare sempre dell’ottimo pane da fornai gentilissimi. Anche al mio cane piace Pallavicino. In pochi mesi si è fatto voler bene da tutti. Si lascia accarezzare dai bambini e mi fornisce un pretesto per scambiare due chiacchiere con gli sconosciuti (“Ma che razza è?” “Anch’io avevo un cane così!” Ecc ecc). Un giorno, durante le nostre esplorazioni lungo i confini della borgata, il mio cane mi ha portato a piazza Giovanni Bellissima. Il nome mi ha incuriosito e ho fatto qualche ricerca.

Il vice – brigadiere Giovanni Bellissima venne ucciso ad appena ventiquattro anni insieme ad altri due carabinieri, mentre era di scorta ad un boss mafioso. Nel sito dell’Associazione nazionale carabinieri la sua foto, secondo un rigoroso ordine alfabetico, si trova accanto a quella del capitano Basile. L’immagine in bianco e nero mostra un giovane uomo con un paio di enormi baffi neri. Poco oltre Piazza Bellissima si trova una via intitolata al più famoso Joe Petrosino.

Percorro spesso quest’intrico di strade che rimanda, come accade spesso a Palermo, a delitti di mafia avvenuti in epoche diverse. Entrambe le vie conducono all’Istituto alberghiero Paolo Borsellino. Davanti alla scuola si trova un giardinetto in stato di abbandono, pieno di carte ed erbacce, delimitato da una catenella che il mio cane oltrepassa con facilità. Al centro del giardino c’è una palma, davanti alla quale è posto un monumento che ritrae il giudice Paolo Borsellino. Non sono un grande intenditore di sculture, ma mi sembra un bel volto. Peccato che sia imbrattato con la vernice. Una scritta alla base recita: “Eroe e martire della Sicilia”.

Immagino la commossa cerimonia al momento dell’inaugurazione del monumento. Immagino le autorità presenti e i loro discorsi. Ad un certo punto, qualcuno avrà smesso di curare quel piccolo giardino. Probabilmente nessuno ha preso la decisione che quel giardino fosse trascurato, ma si sa come vanno certe cose a Palermo. Intuisci che l’aria è cambiata e ti adegui. Mi chiedo se i professori assegnino ancora ai ragazzi temi sul giudice Borsellino. Oppure non è più necessario dato che, come ripetono tanti, la mafia è finita? La colpa, se tale si può chiamare, non è dei professori né, tantomeno, dei ragazzi. E nemmeno di qualche pigro giardiniere comunale.

Se abbiamo ridotto l’antimafia ad un monumento dimenticato che non appassiona quasi più nessuno, al di fuori dei circoli ristretti dei militanti e degli opinionisti, desolata come un giardino abbandonato, incapace di trasmettere passione civile ai picciotti che abitano le grandi periferie palermitane, la colpa ce l’abbiamo un po’ tutti. Che fare? Forse dovremmo iniziare con il ripulire quel piccolo giardino. Vado anch’io con i ragazzi di Pallavicino. E porto anche il mio cane.

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