L'antropocene e l'ospite indesiderato - Live Sicilia

L’antropocene e l’ospite indesiderato

Con il lockdown le emissioni di gas serra sono scese a livelli mai registrati dalla Seconda Guerra Mondiale.
ROSAMARIA'S VERSION
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Del subdolo nemico, il cui nome scientifico è SARS-CoV-2,sappiamo tutto. Ha colpito la quasi totalità dei paesi del mondo (ben 213), mietuto due milioni e mezzo di vittime e, secondo i dati dell’OMS aggiornati alla settimana scorsa, ha provocato, in sole 24 ore, 338.118 nuovi casi. Gli scienziati, al di là della vastissima produzione sulla priorità sanitaria, ne stanno analizzando l’impatto ambientale per capire quali conseguenze dovremo affrontare nel prossimo futuro.

Una ricerca apparsa su Nature Climate Change ha evidenziato una riduzione di CO2 tra gennaio e aprile 2020, al pari del Report degli esperti di clima pubblicato a maggio nell’ambito del Global Carbon Project. Grazie al lockdown le emissioni di gas serra sono scese a livelli mai registrati dalla Seconda Guerra Mondiale. La natura s’era riappropriata dei suoi spazi, ma questo trend positivo è stato effimero. Gli indicatori politici non consentono ottimismo: regredendo allo status quo ante, senza un solido piano di decarbonizzazione, la concentrazione di inquinanti atmosferici tornerà a salire di nuovo.

Appare evidente l’asimmetria tra la giusta attenzione per la pandemia e la pericolosa disattenzione per i guasti provocati dall’inquinamento, grazie al quale il virus ha potuto proliferare, specie se si pensi che i maggiori problemi di salute sono quelli ascrivibili alle emissioni nocive: l’aria inquinata uccide annualmente 4,2 milioni di persone, e, solo in Italia, causa trentamila decessi prematuri per anno. Quindi, da una visuale opposta, si impone la riflessione non solo sulle conseguenze della pandemia sull’ambiente, ma sull’impatto negativo dell’inquinamento atmosferico nell’incidenza ed evoluzione del Covid-19.

La storia del rapporto tra uomo e ambiente è giunta a un punto di non ritorno. Può essere un crepuscolo degli dèi, o l’alba di una rinascita, dipende da noi. La questione ambientale non può essere demandata alle generazioni future. I grandi temi del cambiamento climatico e dell’evoluzione del rapporto tra ordinamenti sociali edecosistemi devono essere seriamente affrontati.

La pandemia ha svelato i catastrofici effetti dei severi danni inflitti dall’uomo al pianeta. Il virus, secondo lo storico Salvatore Adorno, “è uno degli effetti più evidenti di quella che molti scienziati e umanisti hanno definito la nuova epoca dell’Antropocene, ovvero l’epoca in cui l’uomo è diventato agente geologico al pari dei terremoti, dell’eruzione dei vulcani e degli spostamenti dell’asse terrestre”; interpretare il nesso tra l’azione umana e i suoi nefasti risultati aiuta a capire perché il Covid è giunto, ospite inatteso, fino alla porta di casa nostra. Consideriamo crisi sanitaria quella che, in realtà, è una crisi ambientale. Adorno, con metodo convincente, usa la storia come chiave di accesso alla questione ambientale, e focalizza un concetto ignoto ai più, quello di “antropocene”, per superare la relazione dicotomica tra uomo e ambiente, innescare un rapporto circolare tra individuo società, e costruire una nuova etica fondata sul convincimento che la Terra sia una “comunità di destino”, la casa di tutti e di ciascuno.

Ma cos’è l’antropocene? Il neologismo, coniato nel 2000 dall’olandese Paul Crutzen, Premio Nobel per la chimica atmosferica, definisce l’era in cui l’uomo imprime al pianeta una nuova conformazione geologica. In sostanza, l’insieme dei fenomeni prodotti dall’azione umana che ne hanno alterato radicalmente le matrici ambientali, sconvolgendone gli equilibri naturali: basti pensare alla scomparsa delle foreste tropicali, alla riduzione della biodiversità, all’occupazione del 50% delle terre emerse, allo sfruttamento incontrollato delle acque e delle risorse ittiche, all’uso abnorme di azoto come fertilizzante agricolo, all’immissione in atmosfera di gas serra. Leggendo questi fattori nel loro insieme, si comprende che l’effetto più evidente dell’antropocene è il cambiamento climatico, rispetto al quale occorre una rinnovata educazione ambientale che instilli, a livello collettivo, la consapevolezza dell’attuale disastro, e orienti al rispetto della natura i comportamenti dei singoli individui.

Avete mai provato a immaginare come saranno le nostre città tra soli dieci anni? E tra cento? Provare a connettere passato, presente e futuro non è un gioco di società, ma un esercizio intellettuale che ha a che fare con la permanenza della vita sulla Terra. Bisogna rivitalizzare non solo la cultura ambientalistica, ma anche quella politica, per le giuste scelte, e quella giuridica, per le giuste norme.

Nel recentissimo “Il mondo che avrete. Virus, antropocene, rivoluzione” (Utet 2020),gli antropologi Aime, Favole e Remotti spiegano come l’umanità non sia posta sotto assedio dal coronavirus, ma dagli sconvolgimenti ecologici causati dal “progresso”. Il lockdown è stato, ed è ancora, una pausa forzata, nel corso della quale sono state sospese attività produttive, incontri sociali, manifestazioni culturali. E se le fasi di “sospensione”, dovute alle situazioni più varie, da quelle economiche a quelle belliche, non sono nuove sotto il sole, la chiusura ha costituito una inusuale e avvilente esperienza, costellata dal susseguirsi incalzante di divieti decretati ad hoc, quindi non meramente demandati al buon senso, ma imposti dalla legge, e, soprattutto, non conformi ai nostri usi, né al nostro stesso modo di pensare. Una parentesi che si vorrebbe, ma non si può (né si sa quando sarà possibile, il che costituisce un ulteriore elemento di inusitata angoscia), chiudere definitivamente per riprendere la nostra personale routine e il percorso comune verso quel progresso infinito cui la civiltà tende, o dovrebbe tendere, per lasciare le sue tracce.

La storia del mondo offre molte testimonianze di processi di cesura, lontani nel tempo e nello spazio, di crisi profonde nel corso delle quali sembrava che l’umanità perisse; ogni cultura, nella lotta per la sopravvivenza, si sarà posta domande cruciali sul presente e sul futuro. Ma quello che sta accadendo nella generale emergenza accade qui, accade ora, accade a noi. E lo sguardo volto al passato, in questo frangente, non è consolatorio. Dovremmo, e non osiamo, volgerlo intensamente al futuro. Anche perché il più macroscopico vulnus al consorzio umano si consuma proprio nel fallimento della nostra generazione nel garantire ai giovani un futuro migliore, o anche solo un futuro vivibile. La sofferenza collettiva che connota il lockdown e la riflessioni sull’era dell’antropocene nella quale siamo immersi fino a soffocare, evidenzia difatti, in modo drammatico, il “furto di futuro”, l’inestinguibile debito economico ed ecologico che lasciamo alle nuove generazioni.

Come venirne fuori? Abbiamo bisogno di grandi idee. Per citare Antoine de Saint-Exupéry, un mucchio di roccia cessa di essere tale nel momento in cui un uomo la contempla avendo in mente l’idea di una cattedrale. Ideare un altro modo di vivere darà alla luce un progetto rivoluzionario che rifonderà la convivenza tra gli uomini e tra gli uomini e madre natura quando, proprio come per il piccolo principe, sarà importante non tanto prevedere il futuro, quanto renderlo possibile.

La crisi pandemica infliggerà altre profonde ferite all’ambiente che i governi dovranno curare con un approccio programmatico, partendo dalla valutazione integrata dei vari fenomeni in campo. La severa lezione della pandemia non deve costituire l’ennesima occasione mancata. Piuttosto, la crisi globale sanitaria dovrebbe condurre ad affrontarne un’altra, quella del surriscaldamento del pianeta, e rendere chiaro a tutti che la pandemia affonda le radici nei danni ambientali: in questo senso il coronavirus costituisce il preoccupante monito di crisi future.

In questo solco è fondamentale l’apporto dell’Unione Europea, impegnata, con i suoi Stati membri, nella lotta contro i cambiamenti climatici volta a raggiungere un obiettivo vincolante di riduzione almeno del 55% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Come ha dichiarato alla Columbia University di New York il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, pronunciando l’appassionato discorso sul cambiamento climatico che ha preceduto il vertice sul clima del 12 dicembre scorso, nel quinto anniversario dell’Accordo di Parigi, indetto per tracciare nuove strategie, “l’umanità sta dichiarando guerra alla natura. Questo è un comportamento suicida”.

Concludere la pace con la natura sarà l’obiettivo prioritario del 21esimo secolo, perché sul terreno cruento di questa guerra, la natura reagisce sempre, “con forza e con furia”.

Proprio come sta facendo adesso.

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