PALERMO – Matteo Messina Denaro ha risposto alle domande dei pubblici ministeri. È durato circa un’ora l’interrogatorio del capomafia trapanese detenuto nel carcere de L’Aquila.
Nel penitenziario di massima sicurezza in Abruzzo – una fortezza che da sempre ospita i criminali più pericolosi – sono arrivati il procuratore e l’aggiunto Poalo Guido della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Lo hanno interrogato nella stessa cella dove il padrino si sottopone ai cicli di chemioterapia per contrastare il tumore. Un faccia a faccia storico più nella forma che nella sostanza dei contenuti trattati. Le risposte del padrino non avrebbero dato alcun contributo importante, o almeno significativo, al quadro dell’inchiesta. Il capomafia resta un irriducibile, che non cede agli inviti a collaborare con la giustizia.
Buone condizioni di salute
Messina Denaro è in buone condizioni generali di salute. Pacato, lucido, garbato nei modi. Il contenuto delle domande e delle risposte resta confinato, almeno per il momento, tra le pareti del penitenziario.
L’ultimo dei corleonesi ha smesso di essere un latitante la mattina del 16 gennaio scorso, quando i carabinieri del Ros lo hanno arrestato all’esterno della clinica La Maddalena, a Palermo, dove era in cura dopo essersi sottoposto l’anno scorso a un intervento chirurgico.
Da allora è rinchiuso al 41 bis, il carcere duro, per evitare ogni contatto con l’esterno. All’interrogatorio era presente l’avvocato di Messina Denaro, Lorenza Guttadauro, che è anche la nipote. Si tratta della figlia di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, sorella del capomafia.
Verbale non secretato
Il verbale non è stato secretato (seppure di per sé sono segreti tutti i verbali), circostanza che fa ipotizzare che nulla di significativo sia emerso dal punto di vista investigativo che meriti una ulteriore segretazione. Di sicuro ci sono nuove contestazioni, rispetto ai giudicati definitivi per alcuni dei quali, ad esempio le stragi, la Procura di Palermo non è competente.
I temi da approfondire sono tanti: dalla contabilità trovata nel covo alla recente gestione mafiosa del territorio trapanese di cui si è continuato ad occupare durante la latitanza, alla pistola sequestrata nell’abitazione in vicolo San Vito. Di documenti ne sono stati trovati parecchi nella casa rifugio, a Campobello di Mazara, dove Messina Denaro ha vissuto l’ultima parte della sua sua latitanza. E poi ci sono i processi per mafia ed estorsione ancora in corso, oltre agli ergastoli che gli sono già stati inflitti.
L’ultimo confronto risaliva al ’93
Il faccia a faccia è comunque storico. L’ultimo confronto con l’autorità giudiziaria, prima di oggi, risaliva al 18 marzo del 1993, quando il boss testimoniò al processo Accardo, su uno dei tanti di omicidi di mafia a Partanna, in provincia di Trapani.
“Senta”, chiedeva il pubblico ministero, “ricorda se fu sentito dalla squadra mobile di Trapani, dopo la morte di un certo Accardo Francesco da Partanna?”. “Guardi”, rispose il boss, “io, in quel periodo, ho subito decine di interrogatori per ogni omicidio che è successo”. Poco dopo sarebbe diventato un latitante. Oggi è diverso, dal 16 gennaio è in carcere al 41 bis. Non è più l’uomo a cui qualcuno ha regalato un portachiavi facendovi incidere la frase: “L’uomo, il mito, la leggenda sei tu”.