PALERMO – Un nuovo colpo al patrimonio imprenditoriale sul quale poteva contare il boss Matteo Messina Denaro è stato inferto oggi con la maxi operazione “Eden” dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani, guardia di finanza, Dia e Squadre mobili di Trapani e Palermo. “Abbiamo ulteriormente disarticolato la rete di fiancheggiatori e prestanome del boss – ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato – perché abbiamo fatto terra bruciata attorno a lui e ci auguriamo che tutto questo ci conduca al risultato che tutti noi auspichiamo da tempo, il suo arresto”.
Un concetto ribadito dal comandante generale del Ros, Mario Parente, nel corso della conferenza stampa sui trenta arresti tra Trapani e Palemo, tra cui quello della sorella del boss ha precisato: “Non è stato semplice anche nell’ottica di dare una logicità al quadro probatorio. Sicuramente è una delle attività più importanti condotte nei confronti della cosa nostra trapanese che avrà delle conseguenze sugli assetti organizzativi della mafia su questa provincia”. Una provincia, quella trapanese, che Teresa Principato definisce ancora a forte vocazione imprenditoriale:
“Una zona in cui in poco più di due anni abbiamo emesso provvedimenti di sequestro per oltre due miliardi di euro nei confronti del patrimonio riconducibile al super latitante”, sottolinea. Secondo Parente, l’uomo più vicino a Matteo Messina Denaro è Pietro Luca Polizzi, uno dei 30 arrestati e fidato autista del boss. “Polizzi – ha detto ai giornalisti – il comandante generale dei Ros – è a sua volta vicino a Ruffino, già arrestato in passato, che costituiva il punto di riferimento per la provincia di Trapani con i rappresentanti delle altre province. Insomma – ha sottolineato Parente – è chiaro che dalle indagini emerge l’estrema attività di Cosa nostra trapanese, attualemente attiva nel settore edile gestendo numerosi appalti pubblici e privati in questa zona. Un fitta rete per mantenere la latitanza di Messina Denaro.
“Ancora una volta viene colpito duramente il contesto relazionale – spiega il colonnello Fernando Nazzaro, comandante provinciale dei carabinieri di Trapani, che hanno arrestato più della metà delle persone coinvolte nel blitz -. Colpire coloro che hanno aiutato e aiutano il latitante, compresi i parenti, e aggredire i suoi patrimoni illeciti sono le armi per stanarlo. L’operazione di oggi dimostra l’efficacia del lavoro congiunto fra le forze dell’ordine”.
“E’ da sottolineare – ha proseguito il comandante provinciale della guardia di finanza, Stefano Screpanti – il ruolo delle donne coinvolte. Sei le arrestate, alcune delle quali erano prestanome dei genitori al vertice di aziende in odore di mafia. Altre avrebbero fatto da prestanome per evitare sequestri, mentre ancora avrebbero svolto commissioni agli ordini della famiglia mafiosa. Si tratta della sorella del boss, Patrizia Messina Denaro, Antonella Agosta, che viveva in Germania, Francesca Maria Barresi, di Castelvetrano, Floriana e Valentina Filardo, di Salemi, e Girolama La Cascia, di Castelvetrano. Quest’ultima è. accusata di non aver denunciato un’estorsione subita.