“Berlusconi dice alleiamoci contro Caselli e la sinistra che rompono i coglioni a me e a te. Mori incontra Ciancimino a Roma in Piazza di Spagna e gli chiede di avere un contatto con C. Nostra. Pare che Ciancimino parli con Brusca e Brusca gli consegna il ‘papello’- 41bis, cioè gli accordi per la trattativa con il futuro governo”. E’ quello che si legge in un appunto che il giornalista Guglielmo Sasinini scrive tra il 1996 e il 1998. Nella nota, in alto, si legge anche “ev. trattativa”. Il promemoria verrà sequestrato anni dopo dalla procura di Milano che indaga sullo scandalo Telekom Serbia. Ma perché Sasinini scrive quell’appunto? E chi gli da quelle informazioni? Il giornalista di Famiglia Cristiana e di Libero è molto vicino a Mario Mori, il generale del Ros, che incontrò a più riprese Vito Ciancimino nel 92 – 93.
Ed è in quel periodo che Mori incontra spesso a cena il vice capo dell’amministrazione penitenziaria Francesco Di Maggio e lo storico 007 Umberto Bonaventura. A sedere al loro tavolo c’è spesso lo stesso Sasinini, che interrogato nell’aprile del 2011 dai magistrati siciliani confermerà la paternità di quell’appunto.
Già alla fine degli anni ’90, quindi, c’è chi ha delineato uno scenario ben preciso delle dinamiche avrebbero portato al patto scellerato tra Cosa nostra e pezzi dello Stato. Nel frattempo, nel 1998, il governo di centro sinistra decide di chiudere per sempre le super carceri dell’isola di Pianosa e dell’Asinara, aperte il giorno dopo della strage di via d’Amelio e progettate proprio per ospitare i mafiosi detenuti in regime di carcere duro.
La notte del 10 novembre del 2002, uno degli uomini principali di quella trattativa passa a miglior vita: è Vito Ciancimino che viene colto da un arresto cardiaco nella sua casa romana. Molto più tragica è invece la fine dell’urologo Attilio Manca. Il giovane medico è originario di Barcellona Pozzo di Gotto ma da anni vive e lavora a Viterbo. Ed è nella sua abitazione laziale che viene trovato morto il 12 febbraio del 2004. Nell’avanbraccio sinistro vengono trovati due fori, a terra una siringa, mentre nel sangue l’autopsia individua tracce di eroina: Manca muore di overdose. Per la procura di Viterbo si tratta probabilmente un suicidio premeditato. Manca però è mancino, e come tale si sarebbe dovuto “bucare” l’altro braccio, il destro. La famiglia non si da pace.
Un anno dopo i giornali pubblicano le intercettazioni in carcere del boss Ciccio Pastoia. Il braccio destro di Provenzano racconta che Binnu era stato operato di prostrata a Marsiglia. Pochi giorni dopo Pastoia viene trovato impiccato nella sua cella. Quelle informazioni però bastano alla famiglia Manca per chiedere nuove indagini: nello stesso periodo in cui Provenzano si faceva operare di prostrata a Marsiglia, anche l’urologo Attilio Manca si trovava nella città francese. Una singolare coincidenza che però non basta agli investigatori: alla fine il caso Manca viene archiviato. Rimane vivo il sospetto, però, che Attilio Manca sia morto proprio per quel suo ultimo viaggio a Marsiglia.
È nello stesso periodo che un oscuro faccendiere va a bussare alla porta della Procura Nazionale Antimafia. Davanti ad un esterrefatto Pier Luigi Vigna, l’intermediario dice di essere venuto a trattare la resa di Bernardo Provenzano, che essendo gravemente malato, avrebbe deciso di costituirsi. Il faccendiere detta le condizioni: vuole due milioni di euro e l’assicurazione che la notizia dell’arresto di Provenzano venga tenuta segreta per un mese. Per Vigna e per il suo sostituto Piero Grasso (che nel frattempo gli succede ai vertici della Dna) quell’oscuro personaggio è un imbroglione e la sua proposta soltanto una bufala.