“Sei mai stato il piede del calciatore che sta per tirare un rigore?” dieci anni fa Lucio Dalla, dedicando una splendida canzone al grande Roberto Baggio, si interrogava su cosa potesse provare un giocatore nel momento in cui ha dinanzi a sè il pallone della vita.
Quello di oggi per Fabrizio Miccoli non era nè un rigore, nè il pallone della vita; quello di oggi per Fabrizio Miccoli era un bivio: da un lato la possibilità di sottrarsi a questo destino, lasciando calciare ad un compagno la punizione contro la sua squadra del cuore; dall’altro la scelta di assumere da professionista tutte le responsabilità impostegli dal suo stesso genio. E non è dalle conseguenze, almeno per questa volta, che si potrà valutare se la decisione si sia rivelata giusta o sbagliata.
Perchè tra decisione e conseguenza c’è solo vuoto e silenzio. L’azione passa in secondo piano. Il tempo e il cuore si fermano nel momento in cui Miccoli piazza la sfera a terra, prende la rincorsa, e la insacca divinamente sotto l’incrocio; perchè è solo lì che il pallone può finire in questo magistrale copione. Subito dopo la lancetta torna battere e il cuore a pulsare, per raccordarsi con il silenzio dello stadio, e alle sue lacrime rientrando negli spogliatoi. Cuore, polmoni e lacrime, la straordinaria esaltazione di qualcosa che nel calcio, forse, non c’è più: l’anima.