“Voglio che tutti sappiano che Alfio Magnano coi suoi settant’anni andava a puttane”. E anche se nessuno lo celebrerà come il padre del bello Antonio, ma anche troppo di sinistra, – avrebbe detto qualcuno- pure Lamberto Dini ci tiene a precisare che lui a settantaquattro anni ha un’intensa vita sessuale; come se il sesso possa essere l’ultima eiaculazione della vecchiaia che non si accetta. E’ per questo siciliana la vecchiaia che si rifiuta, quella di Dini, Berlusconi ma anche quella del potere che si ricandida dopo vent’anni, basti vedere Musotto a Palermo o l’ipotetico Bianco a Catania che rischia di essere riproposto dai giovani di partito che intanto scagionano la “vecchia” Finocchiario deputato dal 1987. Siciliana è quindi come tutte le cose che vogliono durare ma che deperiscono, ed appunto l’effimero comando, la roba di Mazzarò che è diventata quella leghista, la donna che deve essere oggi il labaro del pensionato ammalato di senilismo fallico.
Non hanno lasciato che la senilità fosse come è sempre stata, l’asilo-esilio dell’orologio e ne hanno fatto invece una moda (il vintage), una prerogativa di potere così preziosa al punto da toglierla ai ventenni di oggi che senza saperlo non saranno più vecchi e l’Inps soltanto uno dei tanti enti che verrà compartecipato. C’è però anche la vecchiaia che diventa opportunità, e qui c’entra sempre la Sicilia, la sua specialità politica/pensionistica che ai cinquantenni permette di essere vecchi tanto da percepire pensione.
Fabio Granata, Leoluca Orlando, Raffaele Stancanelli, Dore Misuraca, sono vecchi e giovani per fare nuovi partiti e recitare la pantomima della politica che avanza. Eppure anche chi rottama è vecchio, perché nel sogno di ogni rottamatore c’è il linguaggio di Verga: togliti di qua che mi metto io, che è sintetizzata nell’epopea del giovane qualunque Ivan Scalfarotto, ignoto a se stesso, ma giovane al punto da essere dirigente del partito che doveva sconfiggere a suon di stereotipi giovanilistici che alla fine sono più vecchi degli occhiali di Andreotti.
E tutto questo per dire che anche questa è una senilità camuffata da giovane, che la vera vecchiaia è invece il cagnolino di Umberto D e che è lontana parente della televisione: spettatrice muta e miele per anziani con gli occhi sbarrati verso la porta che si apre sempre meno. La vera vecchiaia sta nelle file agli uffici postali, nelle baruffe per strappare il turno dal medico generico a cui ha delegato la salvezza delle anime pure la chiesa cattolica che nel suo rinnovamento recluta preti con la chitarra al collo e che rifuggono l’odore di stoffa consumata. E’ quindi più pornografica la televisione che li mette in ridicolo come d’altra parte fa con i bambini, che la pornografia ufficiale che vende il corpo ma lo vende senza la laida compiacenza del riso che a volte è più viscido dell’orgasmo regolato attraverso l’audio.
Forse per questo, tempo addietro pure un vecchio come Gillo Dorfles, critico d’arte centenario, stroncò i romanzi di Philip Roth colpevoli a suo modo di vedere, di stuprare la vecchiaia con le sue descrizioni orride dei piccoli drammi dei vecchi e dei loro patrimoni che per lo scrittore erano “le feci del padre morente”. In realtà si comincia ad essere vecchi nel momento in cui muore il padre e non sono tanto gli anni ad invecchiare l’uomo, quanto le perdite: perdita delle proprie capacità motorie, mentali ed economiche; non c’è nulla come il tentativo di un uomo che si spegne e che cerca di controllare il tremore delle mani a farci sentire gracili pietre gettate per caso da Deucalione.
Le ristrettezze della senilità sono allora come le ginocchia sbucciate dei bambini: cercano anch’esse le braccia che le raccolgano e li adagi su una superficie di piume, perché sono le età del capriccio. Anche la vecchia è l’età della partenza e quella tragica è simile a quella descritta da Stefano D’Arrigo in Horcinus Orca, “Quando l’uomo pesa deve prendere il largo con la nave”.
Nessuna cultura come quella siciliana sente su di sé la pesantezza dell’essere forse perché nessuno ha mai lottato tanto per vivere. Nessuno è mai tanto solo come i vecchi orfani del proprio compagno in Sicilia, che sembra appunto l’Eden di Adamo, o la Parigi di Andrè Grosz, il filosofo che decise di morire insieme alla moglie vecchia e ammalata a cui dedicò una lettera pubblicata dalla siciliana Sellerio. Ci sentiamo come gli dei, ma si può essere vecchi come gli dei e da vecchi fare pesare il proprio peso morale anche se inascoltato, basti vedere lo storico palermitano Renda, Macaluso, Il pittore Guccione. Lo scandalo della vecchia è solo per chi ha paura di morire, non con chi è abituato a camminare sulla refe delle Moire. Si può essere immortali ma non si può non essere vecchi come Titone, l’amore di Eos, l’aurora, che chiese l’immortalità ma non la giovinezza. La voce di Titone si fece sottile e leggera come sono i vecchi, quelli veri che quando smettono di cantare si fanno lucciole. Le nostre lucciole quelle che non sono scomparse.