Commissariare la Sicilia? Tutti i dubbi

Le proposte di Calenda? La Sicilia non si salva senza i siciliani

Perché il commissariamento lascia forti dubbi

Più che un commissariamento statale della Sicilia, come propone il senatore Carlo Calenda, leader di Azione, dovremmo auto commissariarci come siciliani. Prima di proseguire nel ragionamento, però, è opportuno inquadrare il contesto.

Nel pieno della tempesta giudiziaria che sta investendo i palazzi siciliani del potere e la coalizione di centrodestra, riproponendo in modo drammatico un’irrisolta questione morale, occorre fissare due assiomi inconfutabili alla prova dei fatti e dell’esperienza.

La Sicilia non si salva senza…

Primo: la Sicilia non si salva senza i siciliani. Questo principio viene disatteso quando oltre il 50% degli elettori diserta le urne per protesta, insoddisfazione o sfiducia, consolidando così gruppi organizzati e sodalizi.

Secondo: se vuoi buoni politici devi essere un buon elettore, a prescindere dall’orientamento purché la scelta sia compiuta nell’interesse della collettività. Il principio fallisce quando una parte non irrilevante dell’elettorato continua a premiare, rendendosi complice, chi considera la politica una fabbrica di favori in cambio di consenso, pure a costo di violare l’etica o, addirittura, il codice penale.

Tertium non datur, tradotto: non esistono scorciatoie, mezze misure o furberie. Tutto il resto è velleitario e ogni proposta, sebbene suggestiva, rischia di rivelarsi una provocazione improduttiva.

Cosa ha detto Carlo Calenda

Ecco, in proposito, un estratto delle dichiarazioni rilasciate recentemente a Livesicilia dal senatore Calenda a commento dell’inchiesta della Procura di Palermo per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta nella sanità: “Schifani dovrebbe dimettersi subito, ma tornare al voto non risolverebbe il problema. Ci vorrebbero cinque-sei anni di commissariamento per spezzare i legami clientelari. Bisogna ridare la libertà ai siciliani, con un periodo di decantazione che ripristini i diritti fondamentali”.

Al riguardo occorre avanzare due considerazioni. I siciliani sono sempre stati liberi di votare chiunque, una libertà spesso usata male, lo sosteniamo da tempo, ma certamente non negata.

Un commissariamento, anche solo su singole materie, oltre a essere di difficile praticabilità sul piano giuridico-costituzionale (per dirne una, non si può privare i cittadini del diritto di voto per cinque o sei anni), non cambia le coscienze, non innesca rivoluzioni culturali, non crea magicamente una nuova classe dirigente dedita alla comunità, né partiti senza fazioni, cordate, lobby affaristiche e guerre di poltrone.

Tutti i dubbi

Non guarisce dal consociativismo – latente o spudorato – che affligge il sistema politico siciliano da destra a sinistra soprattutto quando si tratta di distribuire a pioggia finanziamenti e contributi.

Ammesso che l’auspicio di Calenda si realizzi, dobbiamo sempre sperare in un intervento esterno, dello Stato? Alla fine del commissariamento saremo davvero in grado di voltare pagina nella sanità, nei trasporti, nei rifiuti, nell’approvvigionamento idrico, nella pubblica amministrazione, nella qualità del consenso e nel rapporto tra politica, istituzioni e cittadini? Nutriamo forti dubbi.

Torniamo allora ai due assiomi iniziali: la Sicilia non si salva senza i siciliani e, se si vogliono buona politica e istituzioni sane, bisogna essere buoni elettori. Ciò significa che, per consentire al cittadino di esercitare con consapevolezza il proprio ruolo e convincerlo a recarsi alle urne, i partiti devono intanto procedere a monte a una selezione dei candidati rigorosa sotto il profilo morale e delle competenze. Le storie personali, insomma, devono contare. Accadrà mai?


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