Le tre pallottole che hanno ucciso i boss - Live Sicilia

Le tre pallottole che hanno ucciso i boss

L’ultimo latitante della famiglia Santapaola, arrestato in Romania, viene accusato dal pentito Santo La Causa del duplice omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici, consumatosi dopo un mancato incontro tra Vincenzo Santapaola, figlio del boss Nitto, e Sandro e Salvatore Lo Piccolo, capi a Palermo della famiglia di Cosa nostra di San Lorenzo

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CATANIA – Orazio Magrì è stato arrestato il primo marzo 2012 a Curtea De Argeas città a 200 km da Bucarest in Romania. Era ricercato dal 31 luglio 2012, considerato dagli investigatori uno tra i killer più sanguinari della famiglia Santapaola. Leader nello storico rione della “Civita” di Catania, Magrì è accusato di associazione mafioso e di concorso nell’omicidio di Sebastiano Paratore, ucciso nel 2005 il cui corpo venne ritrovato carbonizzato nelle campagna di Aci Catena (CT).

In relazione all’omicidio di Angelo Santapaola e Nicola sedici ad accusare Magrì ci sono invece le deposizione di due collaboratori di giustizia, Ignazio Barbagallo e Santo La Causa. Nelle intercettazioni dell’operazione “Efesto” scattata nel gennaio 2012, a parlare del killer dal passaporto falso è anche Paolo Mirabile, cugino dell’ex reggente Giuseppe. Il boss della “civita” viene definito “colui che comanda”. Uscito indenne dalla faida che contrappose il gruppo di Vincenzo Aiello, poi arrestato nel 2010 e quello di Angelo Santapaola, assassinato nel 2007, Magrì negli anni era riuscito ad emergere all’interno del gruppo dello “Zio Pippo” Ercolano, insieme ai boss Benedetto Cocimano e Daniele De Nizza nell’ennesima contrapposizione della mafia catanese con il gruppo capeggiato da Nino Santapaola “u pazzu” e retto da Giuseppe Mirabile.

A parlare dei retroscena dell’omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici per la volta durante un’udienza lo scorso gennaio è stato Santo La Causa, ex reggente operativo della famiglia di Cosa nostra catanese arrestato durante un summit di mafia nelle campagne di Belpasso nell’ottobre 2009. La Causa, che veniva chiamato con linguaggio criptato dai sodali con il nome di “Marco”, ripercorre la tensione interna all’interno della famiglia e l’emergere in maniera sempre più chiara della contrapposizione con Angelo Santapaola e Nicola Sedici, suo fidato guardaspalle anch’egli uomo d’onore. Un omicidio con modalità da lupara bianca su cui l’ultima parola, stando al racconto del pentito, spettò a Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto e cugino di Angelo: “Nonostante io cercassi di prendere tempo per questo omicidio – spiega ai Pm La Causa – perché sapevo vi fossero pronti dei provvedimenti cautelari nei confronti di Angelo Santapaola, la situazione si fece delicata dopo l’omicidio di Nuccio Aurora una volta che i Lo Piccolo dissero ad Angelo di punire chi l’aveva commesso, fu allora che Vincenzo Santapaola mi disse “o tu o lui””.

Un cane sciolto “che faceva di testa sua” così l’uomo d’onore dal cognome eccellente era riuscito a ritagliarsi un ruolo apicale all’interno dell’organizzazione, tale da permettergli di essere la figura di riferimento di Salvatore e Sandro Lo Piccolo i capimafia palermitani di San Lorenzo che dopo l’arresto di Bernardo Provenzano erano diventati il motore della riorganizzazione di Cosa nostra in Sicilia.

Dopo un mancato incontro chiarificatore in un macello dismesso sulla Catania-Gela tra le fazioni dei Santapaola e i Lo Piccolo si consuma il duplice omicidio del 26 settembre 2007: “Prima di quel giorno ci eravamo visti con Vincenzo Aiello e Carmelo Puglisi – spiega La Causa – e dissi ad Orazio Magrì che si sarebbe dovuto mettere durante l’incontro laterale a Nicola Sedici, pronto ad agire a un mio cenno. Io invece mi sarei dovuto occupare di Angelo Santapaola”. Qualcosa quel fatidico giorno però non gira nel senso voluto. Al macello i Lo Piccolo non si presentano, e Vincenzo Santapaola, prima dell’arrivo del cugino Angelo, ammonisce per l’ultima volta La Causa: “Sai quello che devi fare appena viene”.

La Causa nel suo racconto cerca di far affiorare la preoccupazione per quella scelta, legata anche alla presenza nell’area dell’ex macello di tanti picciotti che non sapevano dell’esecuzione che doveva essere compiuta “Tanti non sapevano dell’ordine di uccidere, c’erano da Paternò gli Amantea, da Bronte Salvatore Catania suo cognato e un altro ragazzo, oltre a Carmelo Puglisi, Orazio Magrì, Daniele De Nizza, Antonio Bergamo, Natale Filoramo e Vincenzo Aiello”.

Arrivati Angelo Santapaola e Nicola Sedici, a bordo dello scooter T-Maax poi ritrovato alla stazione di Bicocca, nell’area dell’ex macello all’interno di uno dei capannoni iniziò il confronto, ma qualcuno stando al racconto del pentito interpretò male un cenno di La Causa: “Orazio Magrì esplose un solo colpo in testa a Nicola Sedici, che non si accorse nemmeno di morire perché era alle sue spalle – racconta Santo La Causa – Angelo Santapaola gli disse “che cummini?” e Magrì allora dicendogli “ora tu ricu iu chi cuminu” gli sparò un colpo al petto spingendolo per oltre due metri e poi lo finì con un colpo in testa”. Dopo il duplice omicidio i due cadaveri vennero ritrovati il 30 settembre 2007 carbonizzati in un casolare di contrada Monaco a pochi chilometri dall’abitato di Ramacca.

 


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