CATANIA – Picanello, quartiere cerniera con il suggestivo borgo marinaro di Ognina, è storicamente uno dei baricentri di potere mafioso della famiglia catanese di Cosa nostra. Uno schiaffo feroce alla squadra di Carletto Campanella (questo il capodecina che ancora è considerato il capo del quartiere) è arrivato qualche anno fa con il blitz Orfeo con l’arresto principalmente del boss Giovanni Comis. Poi il pentimento di Antonino D’Arrigo, detto Gennarino, è stato un altro colpo mortale. Le sue dichiarazioni hanno infatti ‘blindato’ altre inchieste – anche fuori Catania – che hanno permesso di far scattare le manette a un vecchio colonnello della mafia come Carmelo Salemi.
Sicuramente però l’attenzione degli investigatori (magistratura e forze dell’ordine) dediti alla criminalità organizzata è tornato in quel dedalo di vie dove anche il figlio di Nitto, Vincenzo Santapaola (in carcere), ha deciso di creare la sua dimora. Ultimamente infatti sono tornati in libertà personaggi di spicco del gruppo di Picanello del clan Santapaola-Ercolano.
L’ultimo in ordine di tempo è Giovanni Comis, condannato in via definitiva nel processo Orfeo, ma che ottenendo la continuazione con altra sentenza ha già terminato di scontare la pena comminata dai giudici. E poi c’è Saro Tripoto, un gregario di primo piano del clan che da tempo è tornato in libertà. Ultimamente è stato anche denunciato dai carabinieri per aver chiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza. Per capire la sua ‘posizione’ di altissimo rilievo – nel passato – all’interno dello scacchiere della cosca basta ricordare la sua presenza al famoso summit interrotto dai carabinieri a Belpasso nel 2009 dove attorno al reggente Santo La Causa, poi nel 2012 diventato pentito, c’era anche lui. Accompagnava Venerando Cristaldi, uno dei fratelli che sono vertici storici del gruppo di Picanello, che dopo un periodo di scarcerazione è finito in una casa agricola a Cagliari. A piede libero anche Franco Sutera, condannato per diversi omicidi.
Nomi insomma di rilevanza nella storia mafiosa. La speranza è che il carcere sia servito ad allontanarli definitivamente dalla criminalità organizzata. Ma un vecchio mafioso diceva che per uscire da Cosa nostra c’erano solo due modi: “O pentirsi, o morire”. Quindi, antenne alzate.