Le vittime di un paese triste - Live Sicilia

Le vittime di un paese triste

La disperazione e il riscatto
di
3 min di lettura

Questa volta forse non servirà cercare l’orco in televisione e neppure frugare nei diari di una diciassettenne che rimangono suppliche al cielo, ad un paese, come quelle di Norman Zarcone,  le lettere dal carcere. Forse basterà frugare nello stipite di casa, tra i contagocce e i bugiardini che dovrebbero sciogliere la dispepsia, la bolla d’aria che ostruisce il cibo, e placare come un secchio d’acqua l’arsura del panico. Aveva diciassette anni una ragazza – sembra quasi un racconto di Calvino-  e adesso continuate voi…

E la penna ha forse questo di bello, non le servono i nomi propri ma bastano i sussurri, gli accenni, perché una ragazza che muore a Comiso è sorella di chi si suicida a Tokyo mentre i led della pubblicità e le telecamere fotografano la morte irreprensibile come un necrologio virtuale: puoi cancellarlo se vuoi. E’ sempre un mezzo spuntato la scrittura ma è pur sempre la penna d’oca degli antichi ed ha la capacità di svolazzare di perdersi nell’aere di smog e ritrovarsi come un fiocco su un parabrezza di un’auto. Niente bisturi quindi, non serve vivisezionare la morte, o il suicidio. Il suicidio è la bestemmia di chi vuole sperare ma ha purtroppo dimenticato il futuro, il paradigma di quel verbo complicato che non riusciamo più a declinare. Rimane per questo l’atto d’insubordinazione ma anche un’accusa a chi resta: un debito d’amore, di cure e un credito di silenzio. Comiso si ferma, e con essa una famiglia che s’impantana in questo paese dove il suicidio si divide la tragedia con l’efferatezza, con il mostro che sale in superficie.

Forse la natura riuscirà a fermare il carro di Elio e abbassare un po’ la luce nella contea di Modica , lì dove non si può morire a causa di quel raggio accecante, del bianco dei muri a secco e sempre lì dove la piazza Fonte Diana sembra la passerella di Platone e Socrate. E’ quasi uno scandalo morire sotto questo sole siciliano diceva lo scrivano di quel paese, e invece è uno scandalo spegnersi nell’inedia, leggere le righe di un giovane contro chi “Ci ha rubato il futuro”, aggiungere come un abaco una morte al giorno nelle prigioni italiane. Lo scandalo è che ogni giovane ha un buon motivo per andarsene e che sotto un rullo di notifiche, di messaggi inviati agli amici, si senta niente nel mondo, l’anonimo manichino di una nazione dove l’inattività è la vera professione italiana, lo studio roba per pochi.

Dicono che volesse diventare parrucchiera, la psicanalista dei poveri: sistemare con una spazzola i rancori delle mogli o arruffare quelle di una coetanea che deve piacere. E’ uno sfregio in una tela la malattia di una ragazza perché in lei dovrebbe trovare quiete il vecchio, riconoscere il tempo che passa e le generazioni che lo sostituiscono; i corpi degli adolescenti dovrebbero essere le corde magiche di un piano: fare musica e non ascoltarla. Non c’è il romanticismo nel suicidio, non c’è l’ideologia nella protesta dei ragazzi,  ma soltanto lo sconforto di un gesso spezzato prima di scrivere su una lavagna.
E’ “l’eroismo” dei deboli, talvolta dei migliori, di chi dovrebbe cadere sui tappeti elastici. Si trovano invece solo corpi di naufraghi, l’archeologia di un paese triste.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI