Dopo il primo incontro con i magistrati di Caltanissetta, Massimo Ciancimino viene sentito anche dalla procura di Palermo. Il figlio di don Vito inizia a riempire verbali su verbali. Ai magistrati racconta degli incontri di suo padre con Giuseppe De Donno e Mario Mori, parla dei contatti continui con Bernardo Provenzano, dell’arresto di Totò Riina, fa i nomi di importanti esponenti delle istituzioni e produce una quantità infinita di documenti.
Davanti ai magistrati siciliani iniziano quindi a sfilare i protagonisti principali del 1992: gli ex dirigenti dell’amministrazione penitenziaria Niccolò Amato e Adalberto Capriotti, gli ex ministri Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Nicola Mancino e Giovanni Conso, il premier Giuliano Amato e addirittura due presidenti della Repubblica emeriti come Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Dopo vent’anni sembrano aver riacquistano tutti pezzi di memoria dimenticata, sebbene tra qualche silenzio e parecchi “non ricordo”. La procura di Palermo apre un fascicolo sulla presunta trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra.
Nell’estate del 2008 arriva un nuovo importante impulso alle indagini: si pente Gaspare Spatuzza, killer di fiducia dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, i boss di Brancaccio. Spatuzza si auto accusa del furto della Fiat 126, poi imbottita di tritolo e fatta esplodere in via D’Amelio il 19 luglio 1992. Ad organizzare la strage che costò la vita a Paolo Borsellino non fu quindi Vincenzo Scarantino, malavitoso della Guadagna arrestato vent’anni prima e poi “spacciato” per super teste. La prima indagine sulla strage di via d’Amelio è stata quindi depistata. I magistrati nisseni coordinati da Sergio Lari devono quindi iniziare da capo l’inchiesta. E appena viene diffusa la notizia di una nuova indagine sulla strage di via D’Amelio, il primo a reagire è il premier Silvio Berlusconi. Che non la prende bene. “Sono vecchie storie – dice il premier – non è per questo che dobbiamo spendere i soldi degli italiani”.
Nel frattempo, il 21 aprile del 2011, la procura di Palermo fa arrestare Massimo Ciancimino. Nei documenti che il figlio di don Vito ha consegnato ai magistrati almeno uno è falso: è un elenco che sarebbe stato stilato da sua padre e in cui si menzionava Gianni De Gennaro. Ciancimino junior viene accusato di calunnia aggravata. L’inchiesta palermitana si arricchisce anche di un nuovo testimone: è l’ex capo del Dap Sebastiano Ardita, che racconta ai magistrati delle continue pressioni ricevute nel 2006 per spostare Bernardo Provenzano dal carcere di Terni a quello di Parma, dove era detenuto anche il boss Madonia. Ardita fa cenno anche ad un accordo segreto che sarebbe stato siglato dal Dap e dal Sisde nel 2000: è il cosiddetto “protocollo Farfalla” che avrebbe permesso agli 007 di conferire con i detenuti al 41 bis senza che rimanesse alcuna traccia di quegli incontri nei registri delle carceri.
Nel novembre del 2011 l’ex presidente del Senato Nicola Mancino è preoccupato di finire indagato nell’indagine sulla Trattativa. Inizia quindi a sentire continuamente al telefono Loris D’Ambrosio, consulente giuridico del Presidente della Repubblica. Mancino non lo sa, ma è intercettato dai magistrati palermitani. Nelle bobine della Dia rimangono quindi impressi gli sfoghi dell’ex ministro dell’Interno, che tira in ballo anche il procuratore generale della Cassazione e il procuratore nazionale antimafia, e il sostegno di D’Ambrosio che fa cenno anche di un “interessamento del presidente”.
Nel marzo del 2012 la procura di Caltanissetta chude la prima parte della sua inchiesta: Scarantino ha accusato sette innocenti (che nel frattempo hanno fatto 19 anni di carcere), i veri colpevoli sono altri. Tutte archiviate le posizioni dei politici, su cui però i magistrati esprimono pesanti giudizi morali. Qualche giorno dopo il pg della Cassazione Vitaliano Esposito chiede le carte dell’inchiesta nissena. Mancino lo chiama immediatamente per complimentarsi. Tre mesi dopo anche i magistrati palermitani chiudono l’inchiesta sulla trattativa. Tra gli indagati i mafiosi Riina, Cinà, Bagarella , Provenzano e Brusca, gli ufficiali del Ros Subranni, Mori e De Donno, i politici Mannino e Dell’Utri. E poi lo stesso Mancino, accusato di falsa testimonianza, Conso e Capriotti, accusati invece di false informazioni al pm.
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