Palermo, Orlando 'all'attacco' di Lagalla

Il ritorno di Leoluca Orlando: migranti, Gaza e ‘l’attacco’ a Lagalla

Parla l'europarlamentare ed ex sindaco. Ed è subito polemica
L'INTERVISTA
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4 min di lettura

“Ci vorrà un po’ di tempo, non sarò brevissimo”.

Leoluca Orlando, oggi eurodeputato di Avs, già SinnacOllanno, brevissimo non lo è mai stato. Non lo è nemmeno nel corso di questa chiacchierata. Tuttavia, nell’accordo o nel disaccordo, vale sempre la pena di leggere e di ascoltare quello che ha da dire, per gli spunti (anche fortemente polemici) che offre.

La chiacchierata telefonica si celebra dopo una non vicinissima promessa reciproca di realizzarla, nel corso di un caffè, qualche mese fa.

Leoluca Orlando ha voglia di parlare, di dire come la pensa sui migranti, su Gaza, su Palermo. Un consueto flusso di coscienza che scorre alla stregua di un fiume in piena. Qui sintetizzato.

Professore, cominciamo proprio dalle persone migranti. Abbiamo letto molti suoi interventi sull’argomento.
“Partiamo dal contesto internazionale e giuridico”.

Partiamo.
“La Costituzione italiana stabilisce il dovere dell’accoglienza per gli stranieri che, nel loro Paese, non abbiano il riconoscimento dei diritti fondamentali. E non fa differenza alcuna. Un principio importantissimo ripreso dall’Onu che riconobbe, in seguito, il diritto delle persone di sottrarsi a situazioni insostenibili, senza specificare niente di più. Saranno poi altre evoluzioni normative a cristallizzare il diritto-dovere delle migrazioni e della protezione”.

Dunque?
“Segnalo un primo punto critico. L’Europa distingue tra richiedenti asilo e migranti economici. I richiedenti provengono da realtà ritenute pericolose. Ma, ammessa e non concessa una distinzione che a me non piace con i migranti economici, perché, visto che devono essere tutelati, ai richiedenti asilo non viene fornito un biglietto aereo con condizioni di viaggio non drammatiche? Sa cos’è il Mediterraneo?”.

Un mare, se non erro.
“Sì, un mare che vede passare comunicazioni, trasporti, economia… Però nessuno si preoccupa delle persone, si chiudono gli occhi davanti alle continue tragedie. Un po’ come la Favorita, a Palermo. Tutti vogliono solo attraversala con la macchina e non si curano del resto. Io ho cercato di invertire la rotta, nel 2015, con la Carta di Palermo…”.

Ricordiamo.
“…In quella sede è stato stabilito che chi vive a Palermo è palermitano. Un sindaco non può, certamente, fornire un passaporto, ma ha competenze di stato civile e di anagrafe. La visibilità rende le città più sicure. Se crei invisibilità, aumenti l’insicurezza”.

Argomento attualissimo…
“Oggi siamo alla gestione esterna della questione dei migranti, cominciata con gli scellerati accordi di Gentiloni e Minniti con la Libia. Adesso ci sono i fallimentari Cpr albanesi della presidente Meloni. Le migrazioni sono un mercato di interessi, di soldi e di opacità. Il governo italiano è sotto ricatto e si perde un torturatore come il generale libico Almasri, l’Europa assiste indifferente e…”.

Aspetti, professore. Il quadro che descrive, sebbene dal suo punto di vista, rispecchia in effetti la vicenda drammatica delle migrazioni che, appena pochi giorni fa, ha conosciuto altre tragedie. Ma come si risolve, secondo lei?
“Recuperando quello che era il valore fondante del nostro europeismo: l’essere interdipendenti che è il contrario dell’essere sovranisti. Sapere, cioè, che siamo tutti impegnati in relazioni e che dalla creazione di legami chiari e sani ha origine il benessere condiviso. Tuttavia, al momento, non sono ottimista. Trump, in America, ha scelto Bannon. Palermo era un esempio, con la mia sindacatura…”.

Un esempio di cosa?
“Dell’interdipendenza. Palermo è cambiata in meglio grazie ai migranti che hanno arricchito il nostro modo di pensare, entrando nella nostra testa, offrendoci sguardi e orizzonti diversi. Noi abbiamo combattuto il sovranismo da marciapiede, con una comunità coesa e antirazzista. Questa è la ricetta della pace”.

La pace, per quanto possa sembrare incredibile, ai figli della mia e della sua generazione che hanno vissuto tempi sereni, appare, ormai, una chimera. Il massacro a Gaza, dopo il massacro del 7 ottobre, è una presenza quotidiana terrificante. Un professore palermitano, un suo collega, scrive su Facebook che sarebbe opportuno togliere l’amicizia, seppure virtuale, agli ebrei…
“La colpa è di Netanyahu che è il peggiore nemico del suo popolo. Con il suo comportamento criminale sta scavando un solco di isolamento che sarà difficile colmare per anni, se non per secoli. Chi dice: prima gli italiani è nemico degli italiani. Chi dice: prima gli ebrei è nemico degli ebrei. Un fatto incontestabile”.

Parliamo di Palermo?
“Parliamo di Palermo”.

Lei che fa la spola con Bruxelles come vede la città?
“Prigioniera di un frangente di estrema sofferenza, con mille problemi irrisolti, tra disagio ed episodi di inaudita violenza”.

Almeno, lo sconcio delle bare insepolte ai Rotoli è stato superato, no?
“Certo, perché la mia giunta aveva già predisposto tutto. Palermo ha un sindaco che non è libero, ecco il problema. Roberto Lagalla ha scelto di essere il candidato di Cuffaro e Dell’Utri e sta accettando tanti condizionamenti. Ma lui non può scegliere altro, se non chiede il permesso. La prima qualità di un sindaco è la libertà. Sarà ricandidato? Non deciderà lui, lo scoprirà dai giornali. Io ero un sindaco libero, con tutti i miei difetti”.

Non c’è un eccesso di esagerazione nel suo ritratto?
“No. Palermo ha perso la dimensione comunitaria che avevamo coltivato assiduamente, rendendola più sicura nell’attenzione, per le relazioni che si intrecciavano. La violenza urbana, massicciamente in crescita, non si debella con un esponente delle forze dell’ordine ogni cento metri, ma mettendo le persone al centro del discorso. Tutte le persone. Sa cosa ho percepito al Festino?”.

Dica, professore.
“Dopo tantissimi fischi, quando Lagalla è salito sul carro, è calato un silenzio tremendo, molto più duro del dissenso. Palermo non riconosce questo sindaco”.

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