L’eroe Giletti lascia la Rai | Fu la grancassa di Crocetta - Live Sicilia

L’eroe Giletti lascia la Rai | Fu la grancassa di Crocetta

Massimo si iscrive al piazzale degli eroi. Ma poi succede che...

Nel piazzale dei martiri e degli eroi risplende il nome di Massimo Giletti che – giubilato, manco a dirlo, dai soliti poteri forti della Rai – nel dare l’annuncio dell”Arena’ che si appresta a tornare su La 7, offre la sacra cronaca del martirio e dei tormenti patiti – a causa della giustizia – in una intervista al ‘Corriere della Sera’.

Si legge: “E’ stato inevitabile uscire dalla Rai e provare tristezza. Anzi, molta amarezza perché Viale Mazzini è casa mia. Sono passato davanti al cavallo coperto dalle impalcature per i restauri e mi è rivenuta in mente una scena di trent’anni fa. Il mio primo appuntamento fu con Giovanni Minoli, devo a lui il mio approdo alla Rai. Ricordo benissimo i sogni, le speranze, i progetti. Non avrei mai pensato che nel 2017 mi sarei ritrovato nelle condizioni di dover lasciare quel posto così pieno di significati per me”. Il resto è il compendio di una tragedia intimamente vissuta.

E spiace, ma al protagonista non manca il coraggio: “Rifarò L’Arena. La mia Arena… Qualcuno sperava che non andasse più in onda perché, dicono, dava molto fastidio. Ma L’Arena è la mia creatura professionale, l’ho fatta nascere, l’ho modellata. Ho scelto La7 perché ho capito che era lì la strada per dare continuità a questa esperienza (…). Evidentemente L’Arena è un programma scomodo (…). In questa storia, il criterio del denaro è all’ultimo posto. La mia è una scelta di libertà”.

E via martirizzando. Così tanto che uno rilegge e si scopre balbettante, abbracciato al cavallo Rai, in lacrimevole condivisione di tanto dolore e di una tale scomodità, di quel ‘dare fastidio’ che ha provocato l’apposizione di un’altra lapide immaginaria e meritoria nel sempre affollato e già citato piazzale degli eroi. Solo che….

Come quando nel romanzo di Stevenson, dietro l’aplomb cortese del dottor Jekyll appare il ghigno sardonico del signor Hyde. Come un doppio che si manifesta e sporca la bellezza del gesto. Come una scomodissima e indesiderata associazione di idee. Insomma, mentre piagnucoli per Massimo e sei lì lì per chiedere scusa di qualche pezzo acuminato, ecco che spunta Saro. Dice: che c’entra? Un po’, forse, sì.

Chi ha permesso, infatti, a Saro (Rosario Crocetta) di spacciare per vera la sua rivoluzione farlocca, di vendere la perlina colorata della sua incapacità politica, di contrabbandare i guasti per risultati?

Tanti sono i responsabili mediatici di un siffatto miraggio siciliano. Ma è innegabile che Massimo G. sia stato il principale amico di ospitate nel suo salotto televisivo, il corrispondente del cuore, la sentinella di un mito inesistente; colui che – con altri, forse più di altri – ha permesso a Saro C. di balzare da una dimensione regionale a una platea nazional-popolare che, nulla sapendo, tutto assimilava.

E fu così che la caricatura politica di un presidente si trasformò nell’icona splendente di ogni purezza e di ogni rivoluzione. Proclami disinformati sulle cose di una Sicilia ingurgitata, masticata e sputata via dalle truppe crocettate ricevevano il timbro ufficiale del buon governo, della lotta ai soprusi, dell’onestah di un protogrillino gelese di cui si parlerà a lungo come di una calamità presidenziale. Mentre Saro filava, Massimo tesseva l’ordito del populismo senza costrutto. Chi le paga, adesso, le conseguenze di troppe imposture rivendute per verità assolute, sotto il comodissimo ombrello dell”informazione scomoda’?

Ecco perché un impertinente sorrisino di disincanto si fa largo nel sincero dispiacere provocato dalla lettura dell’apologo gilettiano. Il sorriso incredulo di chi ripensa al beato sorrisetto di Saro, assiso e incoronato, mentre le sparava grosse col crisma di una credibilità che – a una più attenta verifica giornalistica, almeno per chi, legittimamente, sostiene di fare giornalismo – mai avrebbe dovuto ricevere. E fu così che il nulla del Crocettismo si sposò in ingannevoli nozze con la grancassa del Gilettismo.

Ecco perché, in fondo, perfino il cavallo di viale Mazzini, nel glorioso rito del commiato e dell’alzabandiera sul piazzale degli eroi, cavallerescamente sorride.


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