L'eroe umiliato dal contrappasso - Live Sicilia

L’eroe umiliato dal contrappasso

Di Francesco Merlo (tratto da "Repubblica" del 25 luglio 2009) Anche la legge del contrappasso ha la sua par condicio e dunque, dopo le confische dei beni della mafia, è arrivata quella dei beni dell'antimafia, dopo le proprietà di Totò Riina adesso quelle di Giuseppe Fava: dopo la tana del boss la casa dell'eroe. Ed è una vergogna che segnaliamo alla sensibilità del capo dello Stato e all'intelligenza del ministro Tremonti perché trovino il contravveleno all'ordine di pignoramento, ovviamente legittimo, del tribunale di Catania.
SCELTI PER VOI
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Di Francesco Merlo (tratto da “Repubblica del 25 luglio 2009)
Anche la legge del contrappasso ha la sua par condicio e dunque, dopo le confische dei beni della mafia, è arrivata quella dei beni dell’antimafia, dopo le proprietà di Totò Riina adesso quelle di Giuseppe Fava: dopo la tana del boss la casa dell’eroe. Ed è una vergogna che segnaliamo alla sensibilità del capo dello Stato e all’intelligenza del ministro Tremonti perché trovino il contravveleno all’ordine di pignoramento, ovviamente legittimo, del tribunale di Catania. Questa legittimità formale di un assurdo reale, infatti, nella terra dello scontro fra Stato eAntistato, rischia di diventare lo scudo stellare della compiacenza mafiosa, un (involontario) devastante ammiccamento ai picciotti: una festa di mafia.
Tra i creditori c’è la Regione del presidente Lombardo, il leader sicilianista del partito del sud, quello che ha affidato la Sanità a un magistrato antimafia, Massimo Russo. A Lombardo spetterebbe il gesto di civiltà: una leggina, come si dice in slang, che annulli il credito regionale e copra il resto del debito: cartiere, telefoni… Con spese procedurali e interessi, il debito da 38mila è lievitato a 72mila euro, da pagare entro settembre. Per la Regione sarebbe un piccolo costo per un merito grande. Non è vero, presidente Lombardo?
E sarebbe magari il primo di una nuova serie di risarcimenti che, non si capisce perché,in Italia sono dovuti per legge alle vittime del terrorismo ma non a quelle della mafia, eroi per caso e per vocazione, innocenti e combattenti, uomini come Pippo Fava appunto che, già prima di dedicarsi alla lotta alla mafia, era un artista geniale che somigliava moltissimo alla sua terra e alla casa che adesso pignorano aPalazzolo Acreide, un nome da Magna Grecia, un teatro antico, un museo contadino, un incantevole fiume, in un posto che all’acros, alla sommità, ha forse solo Fava: Palazzolo Faveide.
È vero che pirandelliani e avvocati di Sicilia subito chiederebbero di risarcire anche i mafiosi uccisi dai mafiosi e ovviamente, i transgenici, oggi di gran moda, che hanno, per esempio, una parentela sia con un assassinato e sia con un assassino della mafia. Ci sono poi i cuffariani e i dellutriani, i condannati che condannano, i mafiosi antimafiosi.
Ma sarebbe malinconico cercare l’abusato e soffocante Pirandello nel pignoramento delle case dei cinque giornalisti che stavano nel consiglio di amministrazione dell’ultimo giornale di Pippo Fava, “I Siciliani”. Con il figlio di Pippo, Claudio Fava, ci sono Graziella Proto, Lillo Venezia, Rosario Lanza ed Elena Brancati che ha un altro cognome – nipote diretta – dove tutti amano ricoverarsi.
La sera del 5 gennaio del 1984 il loro maestro, il loro direttore di vita fu ucciso con 5 colpi di pistola alla nuca a pochi passi dalla sede del Teatro Stabile di Catania, il suo teatro. Ebbene loro, gli orfani, potevano o scivolare nel più tetro sconforto o trovare l’energia per continuare a pubblicare il giornale e ad accumulare altri debiti – neanche tanti, se ci pensate – senza più quella guida che, nonostante le apparenze disordinate e le scelte coraggiose, sapeva anche essere colto e riflessivo, esperto, per traversie e sofferenze, delle cose della vita.
Dunque con il coraggio di Fava, ma senza la sua prudenza (non c’è coraggio senza prudenza), divennero i protagonisti della stagione antimafia e tra proclami estremisti e denunzie concrete, ingenuità politiche e talenti narrativi, avviarono quel processo che alla lunga ha trasformato anche la terribile città del boss Santapaola e dei quattro famosi cavalieri dell’Apocalisse (così li chiamò, sfidandoli, Giuseppe Fava), i signori assoluti dell’orrore urbano di calce e cemento, con le istituzioni culturali, politiche, giudiziarie e poliziesche più zelanti, più cortigiane, più colluse, tra morti ammazzati, paura, omertà e silenzio.
Ebbene, di vivo e di ribelle c’erano allora solo i giovani – soprattutto, ma non solo, i 16 dei “Siciliani” – che montavano come una maionese. E magari andavano a naso, con un radar (e Radar si chiamava la cooperativa indebitata) al posto del cervello, in un mondo che è come una lama affilata senza manico, un paradiso indiavolato che trasforma i suoi abitanti in prigionieri di una povertà che è bellezza solo quando è scarsamente frequentata dagli uomini. Diventa invece mafia non appena si muta in oro, vale a dire in impianti petrolchimici, cattedrali nel deserto, industrie del ficodindia, piani sregolatori, varianti, parcheggi, metropolitane, concessioni edilizie e ovviamente amici fidatissimi nei posti chiave della politica.
Di pochi di quei ragazzi abbiamo seguito i destini, i successi e i nuovi slanci. Ogni tanto c’è qualcuno che rende onore alla loro epica, quasi sempre senza l’ironia temperata dall’amarezza dei Brancati e dei Pippo Fava. Non è facile riprendere il filo rosso delle loro storie… Probabilmente senza di loro la Sicilia sarebbe nelle mani, ancora e soltanto, dei clan mafiosi, nel dominio della morte.
Ebbene, ritrovarli adesso con le case pignorate significa assistere allo sfregio legale di una risorsa morale. Sono incanutiti, qualcuno è disoccupato, non hanno più il passo spavaldo e lo sguardo beffardo della squadra d’attacco che furono. Eppure devono ancora ricorrere alle sottoscrizioni, alle indignazioni dell’Assostampa e degli attori, alla prosa generosa di Dacia Maraini, alla solidarietà personale del sindaco di Catania Raffaele Stancanelli e dell’assessore Fabio Fatuzzo (entrambi di Alleanza nazionale)…
Ricordano “Il Miraggio”, quel racconto di Borgese dove si narra di tre amici che attraversano il deserto e uno di loro è abbagliato dai miraggi e gli altri corrono dietro a lui che corre dietro ai miraggi. Sino all’ultimo miraggio che egli affronterà da solo perché – diceva Borgese – è da soli, e con i miraggi, che ci si salva.
Ma in Sicilia non è vero, non è da soli che ci si salva. Signor Presidente della repubblica, signor ministro del Tesoro, signor presidente della Regione, nel paese che è una folla di cognomi, si colpisce, legalmente, un marchio, un logo, una memoria dell’antimafia. Come chiedere i danni alla famiglia Falcone e agli eredi di Borsellino per le auto distrutte nell’agguato di Capaci e nella strage di via D´Amelio.

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