Nuovi guai giudiziari per Silvana Saguto: ecco il nuovo processo

Il “bluff” del sequestro da 1,6 miliardi: nuovo processo per Silvana Saguto

Silvana Saguto durante il primo processo
L'ex magistrato, in carcere per corruzione, è stata rinviata a giudizio

PALERMO – Silvana Saguto deve affrontare un nuovo processo. L’ex magistrato nei giorni scorsi è stata rinviata a giudizio per falso in atto pubblico dopo due richieste di archiviazione della Procura di Caltanissetta.

Secondo l’accusa, il sequestro subito dagli imprenditori Virga di Marineo non sarebbe stato deciso collegialmente, come previsto dalla legge, ma dal solo ex presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo che sta scontando una condanna in carcere per corruzione.

Patrimonio da 1,6 miliardi di euro

Il sequestro risale al 2015. Fu annunciato come il più pesante di sempre a livello nazionale: 1,6 miliardi di euro fra impianti di calcestruzzo, imprese edili, aziende agricole, produzione di gas terapeutici ed industriali, ristorazione, immobili. Un valore sempre smentito dai Virga che lo hanno valutato intorno ai 25 milioni di euro. Un impero di cui restano le macerie.

Anni dopo il sequestro fu annullato e la quasi totalità dei beni restituita ad eccezione di alcuni immobili e partecipazioni societarie di Carmelo Virga andate in confisca. La famiglia Virga, tramite l’avvocato Luca Inzerillo, come già ricostruito nel 2021, decise di denunciare Saguto.

Un grande bluff

Riteneva e ritiene che l’intera misura di prevenzione sarebbe stata frutto di un grande bluff. Saguto avrebbe deciso tutto da sola, dal sequestro alla nomina dell’amministratore giudiziario. Nessuna decisione collegiale e nessuna camera di consiglio con gli altri giudici della sezione come invece risultava dalle carte. Ed è il reato da cui Saguto, a partire dal prossimo 5 giugno, dovrà difendersi nel nuovo processo.

I Virga avrebbero voluto che le venisse contestato anche il reato di corruzione in atto pubblico. Non ci sarebbero stati i presupposti per mettere il sequestro e il provvedimento nel 2015 sarebbe stato deciso solo ed esclusivamente per alimentare il mercato delle nomine.

“Non ho avuto tempo di guardarlo”

Lo dimostrerebbero le intercettazioni. Saguto, trascrizioni alla mano, avrebbe iniziato a esaminare la corposa documentazione fatta di migliaia di pagine una manciata di giorni prima che venisse firmato il decreto di sequestro. “Non ho avuto il tempo di guardarlo, ora parto per una trasferta quando torno, cioè domenica torno, da lunedì comincio a guardarmi le carte”, diceva Saguto.

Un “ragazzetto” come amministratore

Saguto scelse come amministratore giudiziario il commercialista Giuseppe Rizzo. Lo sponsor di Rizzo fu l’ufficiale della Dia Rosolino Nasca. Saguto su Rizzo diceva “è un ragazzetto… non so come farà” e ritenne necessario di affiancargli un coadiutore.

La scelta ricadde su Carmelo Provenzano, docente della Kore. Nei mesi scorsi la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna inflitta a Provenzanno e Nasca (3 anni al primo e 2 anni e 8 mesi al secondo) e si celebrerà un nuovo processo di appello.

La nuova contestazione di corruzione non ha retto al vaglio del giudice per le indagini preliminari, secondo cui è stata già affrontata e giudicata nel processo che ha portato Saguto in carcere.

La storia dei Virga

Carmelo Virga finì sotto inchiesta per mafia nel 2000, ma la sua posizione fu archiviata: non erano stati acquisiti elementi univoci benché, scrivevano i giudici, “avesse avuto nel corso degli anni diverse frequentazioni con personaggi sicuramente appartenenti al sodalizio mafioso”.

Diversi pentiti, tra cui Nino Giuffrè a Giovanni Brusca, dissero di avere avere saputo da Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno, e Bernardo Provenzano che i Virga di Marineo avevano goduto dell’appoggio della mafia fino ad inserirsi nel patto del tavolino gestito da Angelo Siino, attraverso cui Cosa Nostra controllava gli appalti pubblici. Protezione e aiuto in cambio di tangenti. Elementi che non bastarono per un processo penale, ma che rappresentarono l’ossatura delle indagini patrimoniali.

Denunciarono il pizzo

Vicenda strana quella dei Virga. Nel 2013, infatti, erano stati considerati meritevoli di ottenere un beneficio dallo Stato per avere denunciato e fatto condannare gli uomini del racket. Chiesero e ottennero il congelamento, per un anno, dei debiti nei confronti dell’erario e un milione e mezzo di euro da prelevare dal fondo nazionale per le vittime del racket.

Poi arrivò il sequestro a bloccare tutto, preceduto da un’interdittiva antimafia della Prefettura di Palermo. Secondo il Tribunale, le dichiarazioni erano “convergenti in merito all’inserimento delle imprese dei Virga e specificamente la Comes e la Calcestruzzi San Ciro, sin dalla metà degli anni Ottanta nel giro illecito di spartizione degli appalti”. Il solo ad avvantaggiarsene sarebbe stato, però, Carmelo Virga, mentre nulla è emerso per i fratelli Vincenzo, Francesco, Anna e Rosa a cui sono stati restituiti beni e aziende ormai andati quasi tutti in malora.


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