L'immenso dolore dei figli di Paolo Borsellino

L’immenso dolore dei figli di Paolo Borsellino

L'ennesima sentenza. Le tante domande senza risposta. E la sofferenza di chi ha perso un padre.
VIA D'AMELIO, TRENT'ANNI DOPO
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Paolo Borsellino era un padre in anni in cui i padri non popolavano la luce effimera dei selfie e restavano nella robusta cornice di una fotografia che li avrebbe consegnati al ricordo. Erano padri forti – come ce ne sono ancora – quando la forza era considerata un accessorio normale dell’essere un papà. Erano padri di un mondo, forse, più leggibile, ma non per questo meno pericoloso. I riti di quelle tribù familiari di un tempo in bianco e nero rimanevano ancorati a cose semplici. Le famiglie, a tavola, chiacchieravano. I telefonini non c’erano. Se squillava il telefono domestico dopo le otto di sera, due erano i casi: o era morto qualcuno, oppure era scoppiata la guerra.

I padri avevano – alla stregua di oggi – la legittima aspirazione di crescere, come le madri, di attraversare una vita di lavoro e di momenti affettuosi, approdando alla ‘nonnitudine’ che gli avrebbe consentito di occuparsi dei nipoti, in un rinnovato slancio di genitorialità. Se pure qualcuno, controvoglia, era costretto a salutare presto la compagnia, lasciava, comunque, alcune certezze. E si sapeva tutto di lui, della sua vita e dell’accidente che aveva procurato in anticipo il commiato. E c’erano sempre tante fotografie da sfogliare.

Immaginiamoli, adesso, i figli del dottore Paolo Borsellino. Immaginiamoli Fiammetta, Lucia e Manfredi mentre guardano quei cari scatti. E lo faranno con un accessorio di tormenti che si aggiunge al lutto dell’assenza. Con la vista offuscata su troppi passaggi oscuri del boato di via D’Amelio che gli ha portato via il papà, insieme ad altri valorosi al centro di un loro inestimabile mondo d’affetti. Con il cuore appesantito da uno strazio che non può trovare pace né riposo, per la qualità eclatante del suo manifestarsi, per le ombre che si addensano e non permettono, trent’anni dopo, di scorgere un paesaggio nitido.

La sentenza sul depistaggio intorno alla strage – le motivazioni forniranno un quadro più chiaro – ha detto che nessuno pagherà per quell’oltraggio alla verità, consegnandoci un contesto di sguardi parziali, sospetti e reazioni indignate. Ma questa è la natura dei processi che mettono insieme ingredienti specifici e su quelli si pronunciano, senza avere il mandato di riscrivere una storia nella sua interezza. Impresa titanica, dopo troppi anni.

Ha ragione, perciò, il presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, quando dice: “Credo che un modo fortemente significativo di rendere onore alla memoria di questi grandi italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sia di farsi carico di un impegno di ricerca della verità senza compromessi da parte di tutte le istituzioni e dello Stato. E’ un compito che devono adempiere, non solo le istituzioni giudiziarie ma anche tutte le altre istituzioni”.

Tuttavia, è lecito dubitare della percorribilità di una strada che non è stata percorsa. E si dubita, infatti, non essendo, finora, nata la decisa volontà di percorrerla. Ecco perché è tragicamente naturale pensare, con sgomento, allo sgomento rinnovabile di Fiammetta, Lucia e Manfredi Borsellino. Alla pena che li ha accompagnati in anni, intessuti di giorni e attimi, senza una pausa di ristoro. Pensiamo all’immenso dolore che segue i passi dei figli di Paolo Borsellino. A quelle lacrime corrose dalla cappa atroce della beffa percepita da chi può sentirsi, a ogni lancio di dadi, di nuovo fermo al punto di partenza. Nel nome di tutti i padri e di tutti i figli, sfogliando le nostre fotografie più care, pensiamoci. (Roberto Puglisi)


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