PALERMO – Il mancato riconoscimento del figlio nato dalla relazione con una dipendente tiene sempre banco nella vicenda che ha coinvolto il patron di Ksm Rosario Basile, indagato per minacce e violenza privata nei confronti della donna.
“Intendo riconoscere il figlio”, aveva detto Basile ai pm nel corso di un interrogatorio a metà novembre. Da allora, sostengono la donna e il suo legale, l’avvocato Antonella Arcoleo, l’indagato non ha fatto alcun passo in avanti: “Dopo le dichiarazioni ci si attendeva qualcosa di concreto”.
Nel frattempo prosegue il processo civile per il riconoscimento del bambino. Secondo il legale, i difensori di Basile danno battaglia sollevando eccezioni sulle modalità di esecuzione della perizia del Dna che attribuisce il figlio all’imprenditore con una percentuale superiore al 99%: “Dispiace ancor più leggere le dichiarazioni di assunzione di responsabilità da parte dell’ormai acclarato e confesso padre ed appurare come tali dichiarazioni di intenti cozzino, in maniera più che evidente, con il comportamento processuale sinora tenuto. Dispiace ancor più pensare che dalla data della prima dichiarazione ad oggi, ben si sarebbe potuto porre fine alla vicenda e, perché no, porre le basi per un rapporto genitoriale che la madre, ad oggi e nonostante tutto, si augura ed auspica”.
Nessun ostruzionismo e nessun passo indietro da parte dell’imprenditore, fanno sapere i legali di Basile. Solo normale dialettica processuale. Sulle parole pronunciate da Basile – “Intendo riconoscere il figlio” – si è basato anche il giudice per le indagini preliminari Filippo Serio che il 30 dicembre scorso ha sostituto la misura dell’obbligo di dimora a Milano, con il meno afflittivo divieto di dimora a Palermo. Accolta la richiesta degli avvocati Caleca, Mangano, Ingroia, Russo.