Lo scandalo a Messina | "Capone e Sauta in carcere" - Live Sicilia

Lo scandalo a Messina | “Capone e Sauta in carcere”

Il Riesame ha accolto il ricorso presentato dalla Procura, che riteneva insufficiente la misura degli arresti domiciliari per gli ex amministratori degli enti di formazione Aram e Ancol.

L'inchiesta corsi d'oro
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MESSINA – Melino Capone ed Elio Sauta dovevano andare in carcere. I giudici del Riesame hanno accolto il ricorso della Procura, ritenendo insufficiente la misura dei domiciliari per gli ex amministratori degli enti di formazione Aram e Ancol. Il pianeta della Formazione messinese era finito al centro dell’inchiesta “Corsi d’oro”, culminata lo scorso 17 luglio con l’arresto di dieci persone. Tuttavia, Capone e Sauta rimarranno ancora ai domiciliari perché il provvedimento non è immediatamente esecutivo ed entrambi hanno deciso di appellarsi alla Cassazione.

Il Tribunale della Libertà, invece, ha respinto la stessa richiesta avanzata dalla Procura nei confronti di Natale Lo Presti, che rimane quindi ai domiciliari. Respinta anche la richiesta di arresto per Elena Schirò, moglie del deputato regionale del Pd, Franco Rinaldi. Invece, il gip ha accolto la richiesta di giudizio immediato nei confronti di 18 indagati nell’ambito della medesima inchiesta sulla Formazione. Giovanni De Marco haa ccolto la richiesta avanzata dal pool coordinato dal procuratore aggiunto Sebastiano Ardita. L’udienza è stata fissata per giorno 17 dicembre, quando sarà avviato il processo a carico delle persone indagate. Fra queste spiccano i nomi di Chiara Schrò e Daniela D’Urso, mogli rispettivamente del deputato del Pd, Francantonio Genovese, e dell’ex parlamentare regionale, del Pdl, Giuseppe Buzzanca.

Gli indagati si trovano ai domiciliari e, proprio domani, avrebbero ottenuto la libertà per scadenza dei termini di carcerazione, ma la decisione del Gip di accogliere la richiesta di giudizio immediato prolungherà la carcerazione di altri sei mesi. Ma tutto dipenderà dalla Cassazione a cui si sono appellati gli arrestati per “impugnare” le richieste di carcerazione preventiva disposta dai magistrati del Tribunale di Messina.


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