PALERMO – La decisione non era passata inosservata. Ed era stata raccontata da Riccardo Lo Verso su Livesicilia il 19 gennaio scorso. La decisione era quella del governo regionale di non costituirsi parte civile, tramite l’Avvocatura dello Stato, al processo che vede imputati Gianfranco Cannova, funzionario dell’assessorato regionale Territorio Ambiente, e quattro imprenditori, tutti accusati di corruzione. Oggi un tassello in più della clamorosa vicenda lo aggiunge Repubblica, che dà notizia delle motivazioni addotte dall’Avvocatura dello Stato a supporto della scelta di non costituirsi parte civile. Secondo l’Avvocatura, riporta il giornale, la corruzione “non costituisce allarme sociale”, e il danno all’erario è esiguo. E dire che proprio su questo caso Rosario Crocetta aveva tuonato pubblicamente. Nel corso di una conferenza stampa pochi giorni dopo il blitz il governatore commentò: “Il caso Cannova? Potrebbe essere solo l’inizio. Stiamo vagliando l’ipotesi della confisca o dell’esproprio per pubblica utilità delle discariche private”. L’inchiesta riguardava un presunto giro di mazzette (ammesse dallo stesso funzionario) nell’ambito dello smaltimento dei rifiuti.
Insomma, malgrado i ripetuti allarmi lanciati a più riprese dai massimi vertici istituzionali sul tema, la corruzione secondo l’Avvocatura dello Stato, almeno nella fattispecie, non desta allarme sociale. Una posizione che sta suscitando scandalo e scatenando polemiche, e che è stata stigmatizzata dallo stesso Crocetta, che secondo Repubblica è “caduto dalle nuvole” apprendendo della vicenda, in merito alla quale ha annunciato indagini interne. Più che la scelta in sé, infatti, a colpire sono da un lato le motivazioni addotte e dall’altro la reazione spaesata del governo. Sì, perché laddove la politica è debole e distratta, altri poteri incrementano il proprio peso specifico. L’Avvocatura dello Stato, con i suoi pareri, non fa eccezione. Anzi, i pareri dell’ufficio sono diventati pane quotidiano e bussola per una politica fragile e insicura, in tempi carichi di insidie. Anche nell’ambito di decisioni in cui l’ultima parola dovrebbe spettare alla politica. Ne è nato quasi un tutt’uno, una sorta di governicchio parallelo le cui mosse sono state in più d’una occasione smontate da altri poteri discreti, come quello della Corte dei conti.
In effetti, nel recente passato l’Avvocatura ha manifestato parametri di giudizio a volte controversi. La “morbidezza” sulla vicenda Cannova, ad esempio, stride con l’intransigenza mostrata su un altro caso – ovviamente ben diverso dal punto di vista giuridico – che invece è stato al centro dell’attenzione dei media, quello sul vitalizio di Totò Cuffaro. Nel maggio scorso l’Ars chiese un parere sulla vicenda all’Avvocatura. La norma infatti, scriveva Palazzo dei Normanni, prevedeva la sospensione del vitalizio dei parlamentari solo per reati contro la pubblica amministrazione. L’Avvocatura distrettuale di Palermo scrisse che la sospensione del vitalizio era invece giustificata dalle norme del codice penale (in particolare gli articoli 28 e 29), specificando che il vitalizio non è assimilabile a una pensione. Un responso che arrivò anche sull’onda delle proteste di una parte di opinione pubblica e nel clima scottante causato dalla vasta eco mediatica scatenata dal caso. Per aver man forte sulla propria interpretazione, l’Avvocatura di Palermo chiese conforto all’Avvocatura generale dello Stato, che confermò quella interpretazione. Curioso però che malgrado il riferimento a norme nazionali, il vitalizio non sia ancora stato sospeso – o almeno non se ne ha notizia – ai parlamentari nazionali condannati e che al momento il codice penale sembrerebbe applicarsi al solo Cuffaro.
D’altronde, il parere sul caso Cannova non è il primo a “inguaiare” il governo regionale. Già in un paio di vicende eclatanti i buoni consigli dell’Avvocatura hanno messo in difficoltà la giunta regionale. Emblematico il caso delle assunzioni a Sicilia e-Servizi, che avevano avuto il parere favorevole dell’Avvocatura e che sono state invece contestate dalla Corte dei conti (che ha accusato di danno erariale lo stesso avvocato dello Stato Dell’Aira). L’altra insidia arrivò dalla Sanità e dalle nomine dei direttori generali delle aziende catanesi Paolo Cantaro e Angelo Pellicanò. Nomine giunte il giorno prima dell’entrata in vigore del decreto Renzi che stoppava gli incarichi manageriali per le persone in quiescenza. Quanto basta per spingere il governo regionale a chiedere appunto un parere all’Avvocatura. Secondo l’avvocato dello Stato, quelle nomine andavano stoppate perché il rapporto di lavoro si sarebbe formalizzato all’atto della sottoscrizione del contratto, che sarebbe giunto, quindi, dopo l’entrata in vigore del decreto “stoppa-pensionati”. Così, è partita la revoca di quelle nomine, che ha anche innescato forti polemiche e l’apertura di un fascicolo da parte della Procura di Catania. Qualche settimana dopo è lo stesso ministro Madia a fornire, attraverso una circolare esplicativa, la corretta interpretazione della norma. Una interpretazione che smentisce il parere dell’avvocatura: le nomine sono arrivate prima dell’entrata in vigore del decreto. E quindi non sono sottoposte ai limiti previsti dalla norma.
Uno schema analogo: la politica cerca riparo nel parere dell’oracolo, i magistrati contabili o il governo nazionale smontano tutto. E adesso arriva lo scandalo Cannova. Che irrita, tardivamente, lo stesso governo regionale offrendone un’immagine maldestra. Governo che proprio in questi giorni è chiamato a decidere su un’altra eventuale costituzione di parte civile. Quella nel procedimento davanti al Tribunale di Palermo che coinvolge undici persone, tra cui l’ex assessore regionale Pippo Gianni – l’udienza preliminare è stata fissata per il 25 febbraio – per una vicenda di presunta corruzione nell’ambito delle energie alternative.