Venghino, signore e signori, venghino. Ora che è stato inaugurato il nuovo villaggio, pardon, centro commerciale, sì che Palermo può rinascere. Infatti mi chiedo come abbiamo fatto a campare fino all’altro ieri che ancora non c’era. Si è parlato talmente tanto di riqualificazione territoriale che a guardarlo sto posto immenso mi pare proprio riqualificato. 274mila mq di cemento e riqualifica. Forse vogliono un codice postale tutto per loro questi. E per riqualificare pure i cervelli che dobbiamo fare?
A parte che manco aprì e già a qualcuno è venuta la furba pensata di andarci a rubare, e chista è ‘a prima. Grottesco è che sabato mattina le persone hanno messo il vestito buono ai picciriddi per andare a fare la spesa all’Auscià di Zamparini e che, ancora più grottesco, non solo non si parla di crisi manco a schiaffi, pure ci facciamo tre ore di coda e forse ci pigliamo pure a timpulate perché ci dobbiamo avere la pleistescio, anche se ieri c’era, la crisi. E fu così che la miseria abbandonò Palermo. Ma va bene. Del resto, Maurizio i tuoi sono soldi ben spesi. I giornali dicono che nel nuovo centro commerciale del benefattore di Palermo troviamo ristoranti, parchi e negozi di “grandi marche internazionali”.
Ora, senza nulla togliere alle catene di abbigliamento low cost, ma che tutto sono meno che grandi marche, davvero decenni di abbandono culturale ci hanno ridotti così? Davvero, pensiamoci. Ci stiamo abituando alle saracinesche abbassate di tutta una città e senza batter ciglio ci catapultiamo alla quarta, no dico, quarta inaugurazione di una città “altra” dove chi ne trae beneficio non siamo di certo noi. E poi, cosa ce ne facciamo di quattro centri commerciali? Cioè siamo a Palermo non nello stato di New York, cioè siamo quattro ‘atti. Che già due sono alla frutta e quello sul lungomare per l’aeroporto che pare Las Vegas poco ci manca. Ben vengano le centinaia di posti di lavoro creati ma nel frattempo in centro chiudono negozi nostri. Di Palermo. Non catene, non franchising. Nostri. Che poi pare che non potevamo campare senza centri commerciali. Siccome forse siamo in Antartide ed io non me ne sono accorta, non possiamo camminare per le vie cittadine, al sole, dobbiamo avere chilometri di gallerie al coperto per acquistare “alta moda” nei negozi di “grandi marche internazionali” e mangiarci il panino nel “ristorante” americano.
E se nelle città normali si va alle inaugurazioni di luoghi d’arte qui ci svegliamo all’alba e ci aggaddiamo per andare all’apertura del fast food in circonvallazione. E dei centri commerciali. Su, forza, via con i preparativi, bambini sovrappeso e genitori vestiti a festa, adolescenti con le panze di fuori che devono trovare marito, e mi raccomando, “à mittisti a nanna in t’à màchina?” tipo pacco, che è l’inaugurazione. Da domani poi ci possono andare comodamente in pantofole a fare la spesa, perché lo shopping no eh, domani c’è di nuovo, la crisi. Possibilmente torneranno all’ovile, dove andavano ieri, e dell’Auscià non se ne parla più.
Ma poi, con un velo di tenerezza mi chiedo come non comprendere, come sottrarre all’essere umano la meraviglia del nuovo? Come togliere alle famiglie vecchio stile il piacere di vedere “fimmine à nura” che ballano e luci colorate allo spettacolo inaugurale? Che poi sarà nuovo qui, perché in tutto il resto del mondo civilizzato già stanno tornando allegramente alle botteghe di quartiere ed i centri commerciali “titanici” sono in abbandono. Ma noi con i nostri tempi facciamole le cose. Calma, dai che tra vent’anni forse anche noi capiremo che prima viene il pacco di pasta e poi l’aifon alla picciridda ca chiance.
C’è chi lo ama per quello che ha fatto e chi, per gli stessi identici motivi lo odia, ma Maurizio è riuscito a convincerci che si, ci serviva come il pane questo abominio architettonico. Pane che mangeremo con la cipolla e basta perché è più importante “aviri dd’i scaippi, chiddi cull’acca”.