Lombardo, Cuffaro e la vincibile armata - Live Sicilia

Lombardo, Cuffaro e la vincibile armata

Il dottor Sottile
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Scusate la domanda: ma il Popolo della Liberta’ esiste ancora? A marzo ci avevano detto che Lui, l’Imperatore, aveva finalmente accettato di dare una forma democratica alla sua indiscussa e indiscutibile monarchia. E ci avevano anche detto che la fusione tra Forza Italia e An, sancita dal congresso di Roma, avrebbe dato finalmente forma di partito a una alleanza che, fino a quel momento, aveva dato ottimi risultati elettorali ma non era ancora riuscita a cementare, politicamente parlando, le due anime del centrodestra. Che la coesione fosse, piu’ che un impegno, una parola d’ordine si poteva arguire dal fatto che i delegati avevano avevano voluto dotare il Popolo della Liberta’ di regolari organi statutari e che al vertice del partito era stato addirittura chiamato un coordinamento composto da tre nomi altisonanti: due in rappresentanza dell’ex Forza Italia e uno in rappresentanza dell’ex An. Poco ci mancava e qualcuno, preso dall’entusiasmo, avrebbe scritto sui muri come ai bei tempi: “Vincere e vinceremo”.

Ma la politica si sa e’ una bestia infida. E per rendersene conto basta guardare che cosa e’ successo in Sicilia a conclusione di una tarantella suonata dal Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, per decimare i propri avversari politici e dare vita a una giunta che, in nome di un sicilianismo un po’ piagnone e un po’ moraleggiante, consegna praticamente tutte le leve del potere al suo partito, chiamato Movimento per l’Autonomia, e a quella meta’ del Pdl che fa capo a Gianfranco Micciche’, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Cipe.

La tarantella era stata intonata a meta’ maggio quando Lombardo aveva deciso di azzerare la giunta, nata dalle elezioni dell’anno scorso, con il preciso e dichiarato obiettivo di buttare fuori gli assessori che – parole sue – avevano “remato contro”. In particolare i due rappresentanti dell’Udc, tacciati di abominevole contiguita’ con il reprobo Toto’ Cuffaro, e i due esponenti del Pdl riconducibili alla corrente di maggioranza, capitanata in tandem da Renato Schifani e da Angelino Alfano, rispettivamente presidente del Senato e ministro Guardasigilli. Contro l’azzeramento voluto da Lombardo si era subito schierato lo stato maggiore del partito e non c’era stato alto ufficiale di ogni ordine e grado che non avesse manifestato la sua pettoruta indignazione non solo per l’affronto subito ma anche e soprattutto per il malvagio proposito, manifestato dal levantino Governatore della Sicilia e dal ribelle Micciche’, di andare comunque avanti senza l’Udc.

Dal ponte di comando di via dell’Umilta’ partirono le prime scomuniche con conseguente sospensione degli assessori che, nonostante le minacce, avevano accettato l’incarico. E a palazzo Madama fu addirittura incardinato un disegno di legge costituzionale per consentire agli oppositori di sfiduciare Lombardo senza dovere rassegnare le proprie dimissioni. Il fronte del no sembrava un’invincibile Armata. Comprendeva tre coordinatori nazionali: Sandro Bondi, Denis Verdini e Ignazio La Russa. Due coordinatori regionali: Giuseppe Castiglione e Domenico Nania. Due eccellenze della Repubblica: Renato Schifani e Angelino Alfano. Quattro capigruppo di Camera e Senato: Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto e Italo Bocchino. Tutti a dire e a sostenere, a stigmatizzare e a ribadire che l’ipotesi di escludere l’Udc non sarebbe mai passata perche’ Cuffaro e Casini saranno quanto mai utili l’anno prossimo quando si votera’ per rinnovare quasi tutte le regioni ordinarie.

Parole sante, parole alate, parole tenorili. Che sarebbero rimaste tali se Silvio Berlusconi, nell’ultimo faccia a faccia con Lombardo, non le avesse trasformate, con un semplice schiocco delle dita, in coriandoli. In fumo. Come l’Udc di Cuffaro, relegata di colpo sui banchi dell’opposizione. Che bestia infida, la politica. Gli undici componenti dello stato maggiore del Pdl, con i loro anatemi e i loro ultimatum, non sono riusciti a imporre a un manipolo di ribelli la linea del partito. Tutti perdenti, tutti sconfitti e sconfessati. Torniamo alla domanda di apertura: ma esiste ancora un partito chiamato Popolo della Liberta’ o esiste solo Sua Maesta’?


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