MILANO – I Laudani di Catania sarebbero riusciti a infiltrarsi nella gestione dei supermercati Lidl. Ancora una volta la mafia catanese sarebbe riuscita a mettere le “grinfie” nel settore della grande distribuzione, come già era accaduto con il colosso Aligrup fondato da Sebastiano Scuto. Questo il quadro che emerge dalla delicata inchiesta “Security” condotta dalla Dda di Milano che però non coinvolge direttamente la Lidl come impresa, che non risulta indagata. Sono state poste in amministrazione giudiziaria quattro direzioni generali della società di grande distribuzione Lidl, in particolare le Direzioni Regionali di Volpiano (TO), Biandrate (NO), Somaglia (LO) e Misterbianco (CT), che amministrano complessivamente 218 filiali.
La Squadra Mobile di Milano e la polizia tributaria della Guardia di Finanza di Varese hanno smantellato un’organizzazione criminale che, attraverso la sua rete di infiltrazione nelle imprese di gestione dei punti vendita Lidl e dei consorzi di vigilanza privata (da qui il nome “Security” dell’inchiesta), sarebbe riuscita a far arricchire le casse del clan Laudani, conosciuti come I Mussi i Ficurinia. Soldi sporchi che sarebbero serviti anche al mantenimento dei sodali detenuti. Il consorzio coinvolto nell’inchiesta è quello che ha l’appalto per il servizio di vigilanza al Tribunale di Milano.
All’alba di oggi è scattato il blitz. Sono 15 le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip di Milano Giulio Fanales, su richiesta del pm Paolo Storari della Dda di Milano. Questa mattina sono state eseguite oltre 60 perquisizioni tra Lombardia, Piemonte, Puglia e Sicilia. Diversi interrogatori anche a Catania; la Procura etnea ha collaborato attivamente all’inchiesta milanese.
A Catania, inoltre, sono stati eseguiti due fermi dal gruppo interforze, con il supporto della Squadra Mobile etnea diretta da Antonio Salvago, nei confronti di Enrico Borzì e Vincenzo Greco, il primo indagato per associazione mafiosa e il secondo compare nell’elenco dei presunti prestanome dei Laudani.
La figura catanese di spicco dell’indagine è quella di Orazio Salvatore Di Mauro (già in carcere perché arrestato lo scorso anno nella maxi operazione Vicerè dello scorso anno). L’indagato, conosciuto come “Turi u biondo”, è uno degli uomini di fiducia di uno dei componenti della famiglia di sangue dei Mussi i Ficurinia: Sebastiano Laudani, detto Ianu il grande.
L’organizzazione avrebbe versato i soldi a Di Mauro fino al suo arresto, avvenuto il 10 febbraio 2016. Ma nonostante il maxi blitz che ha di fatto azzerato la cosca l’organizzazione avrebbe continuato a pagare attraverso parenti o altri affiliati. L’organizzazione avrebbe funzionato “da serbatoio finanziario del clan: da un lato, l’appartenenza al sodalizio di soggetti esercitanti il controllo su floride aziende del settore della sicurezza privata e, d’altro canto, l’opportuna lontananza del luogo di formazione della provvista, dal territorio di riferimento del clan, rendono particolarmente efficace l’attività dell’associazione, volta al sovvenzionamento dell’organizzazione di stampo mafioso”, scrive il Gip di Milano Giulio Fanales.
Il giudice mette anche in evidenza “la complessità del sistema escogitato onde conseguire la provvista illecita da destinare al clan, con il notevole impegno, profuso dagli associati, per garantirne l’operatività; la determinazione dimostrata nel sovvenzionare l’organizzazione mafiosa, tanto da fare proseguire il versamento delle somme, a quel punto a favore dei parenti degli affiliati, malgrado la cattura dei principali esponenti del clan; infine, i grandi rischi corsi dagli indagati, stante la rilevante distanza fra il territorio di operatività dell’associazione, nonché luogo delle loro dimore abituali, ed il comune di Acireale, ove hanno luogo le consegne di denaro”. Denaro sporco sarebbe stato inviato anche a un altro indagato Enrico Borzì, che sarebbe esponente del gruppo criminale.
La presunta associazione per delinquere avrebbe ottenuto “commesse e appalti di servizi in Sicilia” da Lidl Italia e Eurospin Italia attraverso “dazioni di denaro a esponenti della famiglia Laudani”, clan mafioso “in grado di garantire il monopolio di tali commesse e la cogestione dei lavori in Sicilia”. Gli arrestati, inoltre, avrebbero ottenuto lavori da Lidl Italia “in Piemonte” attraverso “dazioni corruttive”. Il sistema di infiltrazione e corruzione sarebbe avvenuto attraverso “una pluralità di delitti di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omessa dichiarazione Iva, omesso versamento IVA, appropriazione indebita, ricettazione, traffico di influenze, intestazione fittizia di beni, corruzione tra privati”.
I capi promotori – emerge dall’indagine avviata nel 2015 – sarebbero Luigi Alecci, Giacomo Politi, Emanuele Micelotti e i fratelli Alessandro e Nicola Fazio, che avrebbero avuto un collegamento diretto con Orazio Di Mauro dei Laudani. I tre nel 2008 avrebbero costituito “dapprima la Sigi Facilities e poi, nel 2015, la Sigilog (a Cinisello Balsamo), società consortile a cui fanno capo una serie di imprese, che si occupano di logistica e servizi alle imprese, intestate a prestanome al fine di permettere agli indagati una totale mimetizzazione”. Queste imprese, poi, come si legge sempre nell’ordinanza, avrebbero versato somme di denaro a Simone Suriano “dipendente Lidl Italia srl, con il ruolo di associato” e finito oggi agli arresti domiciliari. Suriano sarebbe stato “stabilmente a libro paga al fine di far ottenere appalti a favore di imprese facenti parte dei consorzi Sigi Facilitis e Sigilog”.
Il personaggio chiave è Luigi Alecci che mediava e gestiva i rapporti con gli imprenditori. I fratelli Fazio (imprenditore nel settore della vigilanza privata), invece, avevano il ruolo di inviare tramite Enrico Borzì i soldi in contanti in Sicilia. Le dazioni di denaro agli esponenti della famiglia Laudani, in particolare quelle riconducibili ai Fazio sarebbero stati “funzionali – scrivono gli investigatori – ad ottenere commesse ed appalti in Sicilia dalla Lidl Italia srl, garantendo così il monopolio e la cogestione del settore nonché veicolando il reclutamento del personale da assumere”.
Inoltre ci sarebbe stato il coinvolgimento diretto di un professionista, Attilio Alfonso Parlagreco, e di altre “teste di legno”, come Alberto Monteverde, Vincenzo Greco, Vincenzo Strazzulla, Antonino Ferraro e Rosario Spoto. Sono state quantificate dagli “inquirenti emissione di fatture per operazioni di oltre 2,5 milioni di euro, con relativa omessa dichiarazione e omesso versamento IVA”.
Spicca un’altra persona tra gli indagati della Dda di Catania, Simone Suriano, dirigente della Lidl Italia srl, che sarebbe stato “corrotto al fine di assicurarsi l’assegnazione dei lavori di restyling e rifacimento delle filiali Lidl, mediamente per un importo di circa 3 milioni di euro annuali”. Il sistema di corruzione sarebbe arrivato anche negli appalti pubblici, in particolare “quelli assegnati con affidamento diretto e gestiti da Giovanna Rosaria Maria Afrone (Responsabile del Servizio Gestione Contratti Trasversali con Convenzioni Centrali di Committenza del Comune di Milano). Tutto sarebbe avvenuto – scrivono gli investigatori – grazie alle illecite influenze di due ex dipendenti pubblici, Orazio Elio (settore ospedaliero) e Domenico Palmieri, (Provincia di Milano), quest’ultimo tuttora sindacalista con delega al rapporto con le istituzioni”, che sarebbe stato “stipendiato” mensilmente dal sodalizio criminale legato a stretto giro con la mafia catanese.
LA NOTA DI LIDL ITALIA – Lidl Italia si dichiara completamente estranea a quanto diffuso in data odierna dai principali media in relazione all’operazione gestita dalla Dda”: è quanto dichiara, in una nota, la società. “L’azienda, che è venuta a conoscenza della vicenda in data odierna da parte degli organi inquirenti – viene sottolineato nel comunicato – si è resa da subito a completa disposizione delle autorità competenti, al fine di agevolare le indagini e fare chiarezza quanto prima sull’accaduto. Lidl Italia precisa, inoltre, che l’azienda non risulta indagata e non vi sono sequestri in atto”.