PALERMO – Non tutto è stato chiarito. C’è l’esigenza di sentire un nuovo testimone che potrebbe avere un ruolo chiave al processo sull’omicidio di Franco Mazzè, crivellato di colpi per le strade dello Zen nel marzo dell’anno scorso.
Si tratta di un venditore ambulante di olive che avrebbe assistito all’agguato. Sentito nella fase delle indagini preliminari disse di avere sentito il rumore sordo delle pistolettate e di avere badato solo a nascondersi. Insomma, non ha visto la scena del delitto. È davvero andata così? Il giudice per l’udienza preliminare Guglielmo Nicastro, quando il dibattimento sembrava avviato alla conclusione, ha deciso di convocare il testimone alla prossima udienza.
Stefano Biondo e Fabio Chianchiano, i due presunti killer, sono accusati di omicidio, detenzione illegale di armi e di avere sparato contro l’abitazione di Michele Moceo, amico di Mazzè che sarebbe stato il secondo obiettivo del commando. Di favoreggiamento rispondono Rosario Sgarlata e Claudio Viviano. La posizione di altre tre persone è stata stralciata dopo che il giudice per le indagini preliminari negò l’arresto. Su di oro le indagini non si sono fermate.
Chianchiano è reo confesso del delitto della domenica delle Palme. Gli uomini della Squadra mobile hanno raccolto una serie di elementi, trovando una conferma inaspettata. Nessuno poteva immaginare che il figlio di Mazzè decidesse di vestire i panni – scomodissimi per uno che vive nel quartiere e porta il suo cognome – di investigatore. Ha sentito testimoni. Ne ha raccolto le voci usando il telefonino come registratore.
Il movente del delitto, secondo il pubblico ministero Calogero Ferrara, sarebbe frutto di vecchi dissapori. Mazzè avrebbe potuto morire dieci anni fa per mano dello stesso Chianchiano. Una storia di fidanzamenti incrociati degenerò in violenza. Prima Mazzè spezzò il braccio a Chianchiano che l’aveva appellato “cornuto e sbirro”. Poi, Chianchiano reagì sparando dei colpi di pistola contro il rivale mentre era in sella ad una moto guidata da un complice. Vecchi dissapori divennero nel tempo scontro aperto per la gestione degli affari sporchi nel rione quando entrambi i contendenti furono assoldati da Cosa nostra. Per un po’ sono rimasti sopiti grazie alla mediazione di altri pezzi grossi. Fino al marzo 2015, alla lite in bar fra Chianchiano e uno dei fratelli Mazzè e all’agguato.