L'orazione di Di Matteo per il No | "Il Sì? E' quello che voleva Gelli" - Live Sicilia

L’orazione di Di Matteo per il No | “Il Sì? E’ quello che voleva Gelli”

Il pm interviene all'iniziativa Anpi-Cgil. E pronuncia un lungo discorso politico contro la riforma

PALERMO – Arriva al convegno organizzato dall’Anpi ed è da subito la superstar della giornata. Nino Di Matteo partecipa a un’altra iniziativa per promuovere il No al referendum sulla riforma costituzionale. E tra gli scroscianti applausi della platea all’evento organizzato dall’Associazione dei partigiani e dalla Cgil alla Storia Patria di Palermo, si produce in un lunghissimo discorso, dal sapore chiaramente politico. Perché, dice subito il pm del processo sulla Trattativa, “ci sono momenti in cui un magistrato ha non solo il diritto ma anche il dovere di farsi sentire”.

Le parole che Di Matteo riserva alla riforma di Renzi sono durissime. E il magistrato sul finale, dopo aver ripercorso tutti gli argomenti cari al fronte del no, dal rischio di derive autoritarie alle modifiche fatte per compiacere Jp Morgan,  addirittura tira fuori Licio Gelli e i desiderata piduisti di modifica della Costituzione. “Il cambiamento è l’attuazione della Costituzione. L’unico vero cambiamento è quello che prende consapevolezza che la mafia e a mentalità mafiosa sono il primo inquinamento della democrazia”, dice il magistrato.

Ho partecipato a un dibattito, “La notte per la Costituzione – racconta da principio Di Matteo -. Un quotidiano nazionale ha dedicato cinque pagine riportando il testo integrale di quel l’intervento definendolo programma politico e mettendo in guardia i lettori dallo sconfinamento del magistrato rispetto ai doveri. Stiano pure tranquilli. Ci sono momenti in cui un magistrato ha non solo il diritto ma anche il dovere di farsi sentire. Io come ogni altro magistrato non dimentico di avere giurato fedeltà sulla Costituzione, non obbedienza ai governi o altre istituzioni, né tanto meno a soggetti che rivestono, a mio parere anche indegnamente, incarichi istituzionali”.

Di Matteo torna in continuazione sul rischio di sbilanciamento dei poteri a favore del governo. Lo cita sempre, senza mai spiegare in che modo ciò accada con la riforma, con l’unica eccezione di un esempio, cioè la corsia preferenziale in parlamento per i disegni di legge governativi. “Questa riforma si muove su un percorso di sostanziale restaurazione perché con lo sbilanciamento dei poteri a favore dell’esecutivo rappresenta una svolta autoritaria”, dice. E ancora: “Ho giurato fedeltà alla Costituzione e non obbedienza ai governi, né tanto meno a soggetti che a mio parere rivestono, alcune volte anche indegnamente, incarichi istituzionali. Siamo chiamati a decidere su una riforma che modifica 47 articoli della nostra Carta e che incide profondamente su aspetti fondamentali della democrazia. Nel caso prevalessero i Sì c’è il rischio di modificare il principio della separazione e l’equilibrio dei poteri dello Stato, sbilanciandolo a favore dell’esecutivo”.

“La riforma – attacca Di Matteo – è stata adottata e votata da un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata dalla Corte costituzionale costituzionalmente illegittima. Eppure a nessuno nelle Istituzioni, al Quirinale o altrove, è venuto in mente che questo non dà la legittimazione morale a un Parlamento di modificare la Costituzione”.

Secondo il pm, più che riformare ci sarebbe semmai da dare piena attuazione alla Carta. E qui altri passaggi dal sapore chiaramente “politico”. “Possiamo oggi dire che la sovranità appartiene al popolo se con le ultime leggi elettorali siamo stati privati della possibilità di eleggere i propri rappresentanti? Possiamo dire che è applicato il principio dell’equa retribuzione del lavoro? Possiamo dire che col numero chiuso dell’università sia applicato l’articolo 34 della Costituzione? Possiamo dire che effettivamente tutti i giudici rispondono soltanto alla legge in un sistema in cui sempre più sembra insinuarsi il male del collateralismo della magistratura rispetto alla politica?”. Insomma, sintetizza il magistrato “quello che è il vero grande problema italiano e la forbice tra una costituzione formale che è quella scritta è una costituzione materiale”.

Di Matteo critica che la riforma sia figlia del governo, quando le Costituzioni le fanno i Parlamenti, cita Calamandrei a proposito, afferma che con la revisione di Renzi “si passa da un bicameralismo perfetto a un bicameralismo confuso”, in cui “l’unica certezza sembra l’acquisizione di spazi di immunità penale per soggetti che sappiamo essere largamente interessati da inchieste in corso, senza volere criminalizzare intere categorie”.

Poi ancora passaggi sulla legge elettorale, sulla quale per la verità non si vota in questo referendum, e ancora sullo “squilibrio” in favore del governo, che “risponde alle esigenze rappresentate in altre sedi. E in altri momenti nella storia di questo Paese. È ormai noto che dopo le due lettere dall’Europa, dopo le dimissioni del governo Berlusconi e la nascita del governo Monti, una tappa significativa è la lettera di JPMorgan su come gestire la crisi. Quel documento del maggio 2013 accusa le costruzioni dei Paesi della periferia meridionale perché risentono di una forte influenza socialista. Sostanzialmente questa legge di riforma – sostiene il magistrato – mi pare che risponda proprio all’esigenza di porre fine a quello che secondo Jo Morgan è un vizio, cioè governi deboli rispetto al Parlamento e stati deboli rispetto alle a regioni, e che invece è una garanzia”.

E qui si finisce dritti dritti alla P2: “Il processo di attacco alla Costituzione parte da lontano: depotenziare i parlamenti per rafforzare i governi”. Di Matteo a questo punto legge un’intervista del Corriere ella sera del 1980 a Licio Gelli, maestro venerabile della P2, “che disse: ‘Quando fossi eletto il mio primo atto sarebbe un netto cambiamento della Costituzione’. Quanto somigliano quelle parole a chi oggi sta portando avanti la riforma della Costituzione già auspicata da Gelli”.

C’è tempo per un’ultima stoccata prima della standing ovation: “Non capisco per quali ragioni chi osteggiava l’impianto della riforma perché partorito dal governo Berlusconi oggi non abbia il coraggio o non voglia schierarsi per difendere le stesse ragioni che qualche anno fa lo inducevano a scendere in piazza”.

 

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