AGRIGENTO – Si è fermato tutto a quel marzo del 2020, quando l’Italia era chiusa in casa per difendersi da una minaccia che ancora non conosceva. Il coronavirus aveva costretto in casa anche Lorena Quaranta, giovane studentessa di medicina originaria di Favara, e il suo fidanzato Antonio De Pace, infermiere e studente di Odontoiatria.
De Pace una notte uccise Lorena, strangolandola, e provò a tagliarsi le vene prima di chiamare i Carabinieri e accusarsi dell’omicidio. Disse di essere terrorizzato e angosciato dall’idea di essersi preso il coronavirus. Di essere stato contagiato da lei.
Sulla pandemia, sull’effetto che avrebbe avuto sulla lucidità mentale dell’omicida, si è fermata anche la corte di Cassazione. Che in una sentenza dello scorso 9 luglio che sta sollevando discussioni e obiezioni da parte di parlamentari e attiviste contro la violenza sulle donne ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo pronunciata nel luglio 2023 dalla Corte d’assise d’appello di Messina.
La Cassazione non ha annullato la condanna per omicidio. Ha però chiesto alla corte di merito di decidere se per De Pace non valgano le attenuanti generiche. Che per lui potrebbero avere a che fare proprio con lo stato di alterazione in cui lo aveva indotto il coronavirus e l’angoscia che si respirava in quei giorni del marzo 2020.
L’omicidio
La bacheca Facebook di Lorena Quaranta è aggiornata alle prime fasi della pandemia. Ci sono articoli sui medici che muoiono per contagio, la questione delle mascherine, pensieri personali in cui Quaranta mostra la sua dedizione – si può usare in questi casi il termine: l’amore – per la sua futura professione. Scrive di responsabilità e amore per la vita, del bisogno di stare a casa.
Più in basso ci sono le istantanee di una futura dottoressa. Lo stetoscopio. La partecipazione a un meeting di genetica e pediatria d’urgenza. Le foto in camice. Le serate con i colleghi davanti a un bicchiere di vino. Tutto interrotto dall’arrivo del virus.
Lorena in quel periodo conviveva con Antonio De Pace, che aveva conosciuto in università, in una casa di Furci Siculo, in provincia di Messina. Sarebbe stato al culmine di una lite che De Pace avrebbe prima colpito in testa la donna e poi l’avrebbe strangolata a morte.
Il processo
La prima spiegazione data da De Pace, come accennato, fu di avere ucciso la fidanzata perché era convinto che lei lo avesse contagiato con il coronavirus. Nel corso dei due processi di primo grado e d’appello è caduta l’accusa della premeditazione. In secondo grado il Pm ha chiesto una condanna a 24 anni, proprio considerando il riconoscimento delle attenuanti generiche. La corte l’ha negata, la condanna è stata l’ergastolo.
Sentenza che, solo per la parte che riguarda l’entità della pena, è stata annullata con rinvio dalla Cassazione. Significa che De Pace è colpevole di omicidio ma si deve stabilire quanto tempo debba passare in carcere. Tornano, anche i giudici di terzo grado, al marzo del 2020, e si chiedono se il Coronavirus non possa essere considerato una circostanza attenuante per l’omicidio di Lorena Quaranta.
Per usare le parole della Cassazione: “Deve stimarsi che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere efficacemente tentato di contrastare lo stato di angoscia del quale era preda”.
“Parallelamente – continuano i giudici di Cassazione – si deve valutare se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica; con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio, costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale”.
Le reazioni
Subito dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Cassazione sono arrivate tante reazioni indignate.
Per Cinzia Pellegrino, senatrice di Fratelli d’Italia che coordina coordinatore il dipartimento tutela vittime del partito: “Appellarsi al rischio che la convivenza forzata possa acuire e far degenerare i conflitti nelle relazioni è, per lo meno, risibile. Una sentenza che abbassa la responsabilità penale perché l’imputato non era in grado di contrastare lo stato di angoscia del quale era preda fa da scuola per altri casi che possano essere ritenuti simili”.
La deputata del Partito Democratico Michela Di Biase scrive sul suo profilo Facebook: “Rimango senza parole. In questo Paese l’incidenza della pandemia è stata ampiamente ignorata per gli effetti sulla salute mentale delle ragazze e dei ragazzi, ma viene presa come attenuante per un femminicidio”.
Per Mara Carfagna, presidente di Azione: “Si apre la strada all’idea che sotto stress le responsabilità siano meno gravi, e questo è tanto più sconcertante in un caso di femminicidio e nel momento in cui siamo tutti d’accordo sulla necessità di assicurare a ogni livello maggiore protezione alle donne”.
Per Cettina Miasi, del centro antiviolenza Una di Noi, “il femminicidio non può e non deve avere nessuna attenuante. L’atto efferato è stato consumato come espressione del potere di un uomo su una donna”.