Di battuta in battuta, di copione in copione, il teatrino di Saro non chiude mai. “Ero scioccato, dormivo solo col sonnifero”. Così, di recente – rileggendo le cronache – Rosario Crocetta si è sgravato l’anima anche del più piccolo residuo di un periodo infernale. Non chiudeva occhio, il governatore, all’indomani della famosa – secondo le procure inesistente – chiacchierata con Matteo Tutino che lo vide crocifisso per un presunto silenzio.
Ed ecco l’abituale guizzo drammaturgico per svelarsi fino in fondo, aggiungendo l’insonnia al possente repertorio dell’epoca. Parrebbe uno sbuffo appena accennato, una parentesi tra le fatiche dell’amministrazione, una lamentazione contingente. Invece è la sostanza del mondo di Saro: sostanza politica mancando e forma istituzionale non aiutando, ciò che resta è, appunto, teatro.
Benvenuti nel sempre aperto teatrino di Rosario. Intanto che la Sicilia appassisce, splende il ridotto dell’uomo venuto da Gela. Non promette salvezza questo presidente: non potrebbe. Però assicura lo show a margine del disastro. Tutto scorre sul palcoscenico del Crocettismo, dalla farsa, alla posa eroica, al ritratto intimista, alla recita di retrogusto parrocchiale. Il sussurro riportato sullo choc con annesso sonnifero è appena l’ultimo esempio, che aggiorna la casistica. E tutto va secondo il plot dominato da da un inossidabile narcisismo. A cominciare dalla rivisitazione delle abitudini sessuali del protagonista. Declamò l’ispiratissimo mattatore a ‘La Zanzara’: “Non andrei con Salvini nemmeno se fosse l’unico uomo rimasto sulla faccia della terra. Piuttosto che andare con lui preferisco le fiamme dell’inferno. Mi candido al rogo. E poi ha sempre questa barba, gli sta malissimo, non ha molta stima di se stesso”.
Con l’aria di chi prende il palco solo per sé, addirittura abbondò: “Continuo a essere casto, non faccio l’amore. E da quando sono presidente faccio una dieta rigorosa e sono dimagrito di quasi dieci chili. Un fidanzato? No, per carità io sono un uomo libero, unico fidanzamento è stare per i fatti miei. All’idea che mi devo trovare qualcuno nel mio stesso letto vado in crisi. Le coppie, poi, sono insopportabili”. Assaggi di avanspettacolo, distillati di affettazione perché, per Saro, la vita comincia con Rosario e finisce con Crocetta, mentre la Sicilia ha il ruolo di comprimaria muta e attonita. Che importa, poi, della Sicilia, si intende? Quello che conta è il riflettore.
‘La Zanzara’ è il luogo elettivo delle scene madri. Laggiù, l’insonne canticchia allegramente sullo spartito dell’incontinenza. Un’altra volta, improvvisò: “Mi piacerebbe adottare un bambino. Prima non mi sentivo pronto, ora sì. Ma lo adotterei come single, non come coppia. Magari aiutando bimbi in difficoltà. Andrei anche con una donna, perché limitarsi? Le donne sono esseri bellissimi, meravigliosi. Non capisco questa ossessione delle categorie, omosessuali o eterosessuali”. Un’ossessione, appunto. Una fissazione. E – come l’antica saggezza dei proverbi ha irrevocabilmente accertato – la fissazione è peggio della malattia. Nello stesso contesto, la solenne dichiarazione di principio: “Sono stato eletto per liberare la Sicilia dal malaffare e la sto rimettendo sui binari dopo anni di sprechi”. E qui cadrebbe bene la macchina delle risatine di sottofondo (eh eh, oh oh) che addobba talvolta fiction e talk-show.
Se non risulta profana, la rappresentazione tende al sacro, alle stimmate, all’Ecce Homo. Erano proprio i giorni dello show, quando tutta Italia discuteva di quella – presunta, stra-smentita – intercettazione riportata da ‘L’Espresso’, quella in cui Matteo Tutino avrebbe detto – e non disse, secondo ogni canale istituzionale – riferendosi a Lucia Borsellino: “Va fermata, fatta fuori. Come suo padre”, raccogliendo il silenzio del suo amico presidente all’altro capo del telefono.
Successe il finimondo; Saro se la cavò alla grande, personalmente ritoccando lo spettacolo di una Via Crucis, culminata nella sua resurrezione politica. Un’interpretazione da togliere il fiato. In rapida sequenza: “Non ho sentito la frase su Lucia, forse c’era zona d’ombra, non so spiegarlo; tant’è che io al telefono non replico. Ora mi sento male” (a caldo nella parte del personaggio preso dalla botta). “Avevo trovato su internet un modo veloce, sicuro, in modo che nessuno mi potesse salvare. Visto che non possiedo armi, mi sono chiesto: come mi ammazzo in modo che nessuno mi salvi? Pensavo alle tecniche che dovevo adottare per evitare l’arrivo di qualcuno, ho anche i militari sotto casa e un collaboratore vicino a me. Ma ho trovato un metodo facile, semplice. Lo avevo trovato ma non lo dico per paura delle emulazioni” (ragionando en passant sul suicidio).
Il capolavoro si condensò nel corso di una video-intervista rilasciata a Felice Cavallaro del ‘Corriere’. Saro C. col capello scarmigliato. Una tazza sbattuta sul piattino, con fragore indimenticabile. Le labbra che pronunciano la battuta infuocata: “Un combattente muore sulle barricate. Non si ritira!”. Applausi, sia pure a malincuore.
Se avete seguito fin qui, con un filo sgomento, il repertorio aggiornato delle esibizioni di un presidente politicamente impresentabile, sorretto dalla riffa del potere, magari avrete battuto le mani anche voi, per disperazione, come da una poltroncina di quarta fila sospesa sull’abisso. Magari avrete intrecciato dolorosamente le dita. Forse, vorreste perfino un sonnifero d’urgenza. Chi mai potrebbe chiudere occhio?