Il silenzio dell'imperatore| e la danza siciliana delle ambiguità - Live Sicilia

Il silenzio dell’imperatore| e la danza siciliana delle ambiguità

Il dottor Sottile
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Nel giorno in cui il corpo dell’Imperatore mostra la sua miseria e la sua fragilita’, annerito com’e’ dagli scandali che quotidianamente lo flagellano, il governatore Lombardo torna a bussare al portone di palazzo Grazioli per essere ammesso nella stanza del trono e ricevere finalmente quella parola tanto attesa. “Che cosa dobbiamo fare, Maesta’, della Sicilia: hanno ragione Schifani e Alfano, i generali sanfedisti che vogliono l’azzeramento della mia giunta sicilianista, o ha ragione Micciche’, il monaco ribelle che gia’ ha portato con se’ meta’ del partito?”.

Giuseppe Sottile

Giuseppe Sottile

E‘ difficile prevedere se l’Imperatore avra’ la forza, la serenita’ o la voglia di gettare lo sguardo oltre i confini del suo palazzo, un tempo cosi’ festoso e ora cosi’ opprimente e misterioso. La Sicilia amatissima e’ diventata, come l’amatissima Veronica, una macchinosa sorgente di incubi e delusioni. Il Popolo della Liberta’, che un tempo mieteva li’ soltanto trionfi, come il famoso “cappotto” che nel 2001 consenti’ al centrodestra di conquistare tutti e sessantuno i collegi, ora perde voti e credibilita’. Alle “europee” il partito, gestito dagli uomini di Alfano e Schifani, ha lasciato per terra un dieci per cento secco, bruciando oltre seicentomila consensi. Chi paghera’ il conto di questa morbida disfatta? I Richelieu che finora hanno creduto di potere orientare le scelte dell’Imperatore, cercano di rintanarsi sempre piu’ nelle stanze segrete del palazzo e di far finta di niente. Schifani ha addirittura inviato una lettera ai direttori dei giornali per dire che lui, Seconda Carica dello Stato, tutto maiuscolo, mantiene la sua posizione di terzieta’, come l’alto magistrato del regno. Ma lo sanno pure i bambini delle scuole elementari che i primi segnali di guerra contro Lombardo e contro Micciche’ sono partiti dai saloni damascati di palazzo Giustiniani dove il sommo Renato (renatus populusque romanorum) riceve dignitari, clientes e portaordini.

Jorge Luis Borges sosteneva che l’ambiguita’ e’ una ricchezza e Wolfang Amedeus Mozart maneggiava cosi’ bene le tonalita’ ambigue del re minore che riusciva a trasformare un motivetto da stadio in un capolavoro universale. Ma per compiere simili miracoli bisogna possedere il sacerdozio della genialita’. Nelle angustie della politica politicante, invece, l’ambiguita’ sconfina quasi sempre nella goffaggine e la furbizia diventa imprudenza. Non si e’ sottratto a questo rischio nemmeno il ministro Guardasigilli che, pur impegnato ventiquattr’ore su ventiquattro nella cura delle ferite giudiziarie che affliggono il corpo dell’Imperatore, ha trovato il tempo di dettare alle agenzie una bolla cardinalizia fatta apposta per scomunicare l’eretico Micciche’ e assolvere all’un tempo Giuseppe Castiglione, suo fedelissimo coordinatore regionale e testa d’ariete – almeno questo era il progetto – per la demolizione di Lombardo e della sua giunta sicilianista.

“Castiglione ha vinto”, ha sentenziato Alfano, con furbizia sottile. Invece no. Castiglione ha vinto la gara delle preferenze su Giovanni La Via, suo candidato di Catania; ma ha perso le elezioni: meno dieci per cento. Con la conseguenza, questa si’ molto grave, di avere innescato un meccanismo cosi’ cruento di contrapposizioni da mandare in frantumi tutto il Pdl, sminuzzato in almeno cinque gruppi e impegnato ormai in una guerra senza ritorno di tutti contro tutti.

La danza delle ambiguita’ non risparmia nemmeno l’irredentista Micciche’. Il leader del nuovo sicilianismo afferma che, dopo la batosta delle “europee”, il Pdl non esprime piu’ la maggioranza dei siciliani nemmeno se somma i propri voti a quelli della cuffariana Udc. Ed e’ vero. Ma nell’altra meta’ del cielo, oltre ai voti di Micciche’, dell’Mpa di Lombardo e dei dissidenti dell’ex An, una maggioranza non c’e’ nemmeno. Per formarla bisogna incorporare quel pesante ventiquattro per cento andato al Partito Democratico di Rita Borsellino e di Rosario Crocetta. Problema: con quali numeri riuscira’ a governare la giunta dei ribelli? Chiedera’ o no la stampella del Pd che intanto sostiene ufficialmente di non essere disponibile a darla? Micciche’ non lo spiega. E, per coprire il vuoto di questa risposta non data, continua a vagheggiare oggi una secessione e domani un Pdl del Sud sul modello di una esperienza che, in Germania, riesce a far convivere da decenni i democratici della Cdu con i bavaresi della Csu, con il chiaro e implicito accordo che la Cdu non presenta liste in Baviera e la Csu non si presenta nel resto del paese. Si verra’ mai a capo da questo groviglio di risentimenti, di rancori, di fughe in avanti, di dissimulazioni, di obliqui giochi di palazzo? “Signore, di’ una parola e la mia anima sara’ salva”.

Ma l’Imperatore il suo verdetto non riesce a pronunciarlo. Non dice si’ a Schifani e non dice si’ a Micciche’, non dice si’ a Castiglione e non dice si’ a Lombardo, non dice si’ ad Alfano e non dice si’ nemmeno a Stefania Prestigiacomo. E loro, attori e comprimari di questa Come’die sicilienne, se ne stanno tutti li’, dietro la porta, ad aspettare un sigillo che non arriva. Stendhal, in uno dei suoi viaggi immaginari in Sicilia, sostiene che le passioni dei siciliani affascinano e impauriscono perche’ sono “divoranti”. Il corpo dell’Imperatore, in questa fase appannata della propria esistenza, ha ben altre passioni che lo divorano. Lasciarsi divorare pure da un teatrino dei pupi, dove guerreggiano generali ribelli e generali felloni, sarebbe un’inutile e gratuita crudelta’.


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