Madre e figlia muoiono dopo il parto |Tre chirurghi rischiano il processo - Live Sicilia

Madre e figlia muoiono dopo il parto |Tre chirurghi rischiano il processo

La presunta storia di malasanità è quella con protagoniste Josefa Cavallaro e la piccola Aurora: tutte e due morirono nel 2012 a distanza di pochi giorni al Garibaldi Nesima. Per l'accusa i medici agirono "con imperizia e negligenza". LA DIFESA: "ACCUSE INFONDATE, CONSULENZA DEL PM CHIARAMENTE ERRATA"

CATANIA – Il raccontro tragico di Domenico Palomba, marito di Josefa Cavallaro deceduta dopo un parto cesareo e padre di Aurora che morì 14 giorni dopo la madre, commosse tutta Italia e la sua storia ricoprì pagine di quotidiani e telegiornali nazionali. Sul caso, oggi, pende la richiesta di rinvio a giudizio per tre medici, M.L.G., I.L., e G.D.M., chirurghi dell’Unità di Ginecologia e Ostetricia dell’Azienda Ospedaliera Garilbaldi – Nesima. L’accusa contesta dal pm Alfio Gabriele Fragalà è di omicidio colposo in concorso. Il Gip Francesca Panzano ha già fissato la data per l’udienza preliminare che si svolgerà il prossimo 21 ottobre. In quella sede il Giudice deciderà se accogliere la richiesta della Procura.

Era il 2012, l’allora 37enne militare della Guardia di Finanza presentò un esposto alla Procura di Catania affinchè indagassero sui 10 giorni di degenza della moglie all’Ospedale Garibaldi, dove si era recata per alcune contrazioni che si erano presentate alla trentunesima settimana di gestazione. Fu ricoverata il 2 aprile del 2012, la mattina dell’11 aprile la donna si lamentò perchè il braccio, dove era inniettata la flebo, si era gonfiato  – almeno quanto si legge nell’esposto. “Non so se l’ago era andato fuori vena o se era accaduto qualcosa di peggio, ma fu diagnosticata una flebite al braccio sinistro” – scrisse il finanziere raccontando il suo calvario “La situazione deve essere precipitata e il 12 aprile, alle due del pomeriggio, hanno deciso di portarla in sala parto, senza neanche avvertire i parenti. Per fortuna mi chiamò una signora ricoverata nel letto accanto”. Palomba attese fino a tarda sera nei corridoi del Garibaldi fino a quando arrivò la notizia: “Sua moglie non c’è la fatta”. Quindici giorni dopo morì anche la piccola Aurora per un’infezione.

Alla denuncia del marito sul presunto casa di malasanità, si è aggiunta l’associazione Codici Onlus che con un altro esposto chiedeva alla magistratura di “far luce sulla vicenda della morte di Josefa Cavallaro e della figlia”. In caso di processo il segretario Manfredi Zammataro ha già annunciato che l’associazione si costituirà parte civile nel procedimento penale.

Per l’accusa i tre “chirurghi, in occasione dell’intervento del parto cesareo eseguito sulla paziente Josefa Cavallaro, per colpa consistita in imperizia e negligenza cagionavano la morte della paziente perchè, pur in presenza di un’imponente emoraggia post partum, omettevano di eseguire tempestivamente tutti gli inverventi ostetrici e medici necessari ad arrestare l’emoraggia e il decesso”. Nel capo d’imputazione il pm descrive con dovizia di particolari ed orari quanto accadde quel tragico giorno, Il calvario della giovane mamma 35enne inizia alle 15.25. Per la Procura i tre medici “omettevano di eseguire tempestivamente la isterectomia, procedendovi solo alle 17.30, allorchè il quadro emodinamico della Cavallaro era ormai incompatibile con l’esecuzione di tale intervento; in tal modo contribuivano a cagionare il decesso di Josefa Cavallaro, verificatesi per effetto di arresto cardiocircolatorio conseguente a shock emorragico post taglio cesareo”.

LA DIFESA: Il dott. M.L.G., per il tramite dei propri avvocati, Giacomo e Giuseppe Barletta Caldarera, dichiara di essere assolutamente consapevole della propria innocenza per avere fatto, in relazione alla vicenda della sig.ra Cavallaro, tutto quanto era necessario secondo la migliore scienza medica e coscienza. Le accuse si fondano su di una consulenza del PM chiaramente erronea per come verrà dimostrato in giudizio.

Gli avvocati Barletta Caldarera dichiarano di essere certi che anche in questo caso, così come nella maggior parte delle vicende di responsabilità professionale di cui si sono occupati per altri medici, l’accusa iniziale si rivelerà, in giudizio, infondata.


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