PALERMO – La madre di Mario Biondo, il cameraman siciliano morto a Madrid il 30 maggio 2013, torna a chiedere verità sul caso del figlio. Lo fa dopo l’uscita su Netflix del documentario ‘Le Ultime Ore di Mario Biondo’. “Tutto non quadra in questa serie – dice Santina D’Alessandro -. Tu non puoi chiamarlo documentario se parti e vai in una sola direzione. Un documentario deve raccontare i fatti, anche le investigazioni avvenute in Italia. Non puoi intervistare gente, fare leggere soltanto la perizia del medico legale spagnolo. Dovresti fare leggere tutte le relazioni. Non viene intervistata la polizia, né il medico legale arrivato sul posto”.
Il documentario su Netflix
La donna parla in una intervista a ‘DonnaClick.it’. “Siamo ai primi di novembre – racconta -. L’ordinanza è uscita ad agosto. Mi contatta tramite whatsapp una certa Maria Pulido, proponendomi di fare un documentario su Netflix, che sarebbe stato visto da 200 paesi. Io pensavo che sarebbe stata una cosa, non dico a favore, ma che avrebbero raccontato almeno i fatti, sia la versione spagnola, che quella italiana”.
E ancora: “Parlo con gli avvocati e mi mandano un contratto intestato a ‘The Voice Village’. Successivamente scopriamo che dietro ‘The Voice Village’ c’è ‘Marguera Film’, una società che appartiene a Guillermo Gomez Sancha, il manager di Raquel Sanchez. Lo abbiamo scoperto dopo che ho rilasciato l’intervista a dicembre a Roma, dopo che ho inviato documenti sensibili, perizie di parte, che nel documentario non vengono assolutamente menzionate”.
“A fare la scoperta – ancora D’Alessandro – è stato il criminalista Oscar Tarruella, che facendo una verifica sul suo biglietto da Barcellona a Madrid, ha notato che questo era stato pagato proprio da ‘Marguera Film’. Non avrei mai dato il mio consenso sapendo che dietro c’era Guillermo Gomez Sancha. Io sono stata intervistata per 6 ore e con me hanno fatto taglio e cucito – spiega la donna – così come con gli altri intervistati che sostenevano la tesi omicidiaria come Tarruella, Pasca ed Ercoletti. Per esempio, nella parte del documentario in cui si dice che ho trovato un foglio con un link sotto la tastiera del computer di Mario. Lei me lo ha strappato dalle mani dicendo: ‘Questo link l’ho spento cinque anni fa, come ha fatto Mario a scoprirlo. Io no puta. Io no puta’. Questa parte l’hanno tolta”.
“Il documentario – conclude – è servito soltanto a infangare la memoria di mio figlio, senza prove. Nella terza autopsia sono stati analizzati i capelli di Mario, 28 cm di capelli, ed è emerso che mio figlio non era un consumatore abituale di cocaina, alcol o di altre sostanze. Mario viene dipinto come un depravato e noi come dei pazzi. Noi con una sentenza del giudice che dice che è stato omicidio, noi siamo pazzi e Raquel è la povera vittima, nelle mani di questa famiglia”.