Mafia a Paternò, l’inchiesta è chiusa: ma la partita è al Riesame

Mafia a Paternò, l’inchiesta è chiusa: ma la partita è al Riesame

La Procura ha depositato l’avviso di fine indagine
LA DOCUMENTAZIONE
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PATERNÒ (CATANIA) – Cosa Nostra in città risponde agli ordini del clan Laudani, uno dei gruppi-satellite che orbitano nella galassia mafiosa del clan Santapaola Ercolano. Sono i cosiddetti “mussi i ficurinia”, una mafia potente, in grado di controllare il traffico di droga, tentare di intromettersi nelle aste pubbliche e di fare affari con la politica.

C’è questo e molto altro nelle carte dell’inchiesta che la Dda ha dichiarato chiusa. È l’indagine che ha portato lo scorso aprile a 15 arresti nella cosiddetta operazione “Athena”. La fine delle indagini preliminari, in realtà, è un atto interlocutorio, perché la partita di fatto rimane apertissima.

Gli indagati

Tra gli indagati c’è il presunto boss del clan Laudani in città Vincenzo Morabito, colui che avrebbe comandato il gruppo, assieme a Salvatore Rapisarda. E ci sono quasi tutti coloro che furono iscritti sul registro degli indagati della Dda per associazione mafiosa e altri reati. Sono più di cinquanta persone. Quel che è certo è che il numero non è aumentato.

La Dda inoltre non ha ancora scelto di esercitare l’azione penale, per il momento, e non c’è nessun decreto di giudizio immediato. L’avviso chiude, dunque, l’inchiesta. A Morabito è contestata l’associazione mafiosa per un periodo piuttosto lungo, dal 2015 al 2022. Con l’aggravante di aver diretto il clan.

L’avviso

Con l’avviso emesso dalla Procura, dai pm Tiziana Laudani e Alessandra Tasciotti, coordinati dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, si apre un contraddittorio tra l’accusa e le difese. Gli indagati possono chiedere atti investigativi, l’interrogatorio, chiedere di rendere delle dichiarazioni spontanee, o far depositare delle memorie ai propri legali. Questo momento in teoria dovrebbe durare 20 giorni, ma c’è agosto di mezzo e dunque se ne parlerà a settembre.

Peraltro a settembre c’è già una data fissata ed è importante. È quella del 25 settembre, quando il Riesame dovrà pronunciarsi sul ricorso della Dda, che contesta l’esclusione, da parte del Gip, dell’accusa di voto di scambio politico-mafioso, contestata tra gli altri al boss.

Il “voto di scambio”

È stato uno dei punti nevralgici dell’inchiesta sulle attività del clan Morabito Rapisarda, che la scorsa primavera ha scosso dalle fondamenta la città di Paternò. Un’ipotesi di voto di scambio politico mafioso che ha visto iscritto sul registro degli indagati pure il sindaco Nino Naso.

Il sindaco è stato iscritto sul registro degli indagati in concorso con gli ex assessori Pietro Cirino e Salvatore Comis. Accusa ipotizzata in concorso anche con due presunti esponenti del clan Laudani in città, ovvero Vincenzo Morabito e Natale Benvenga.

L’ipotesi

Per l’accusa Comis si sarebbe messo a disposizione dell’associazione mafiosa per orientare la sua futura attività politica in favore dell’associazione mafiosa, quale uomo di fiducia di Benvenga. Il sindaco invece avrebbe promesso l’assunzione di uomini vicini al clan nella società della nettezza urbana.

Sempre secondo l’accusa Naso avrebbe fatto assumere due persone, con un contratto a tempo determinato, che avrebbe anche fatto, sempre lui, rinnovare. E nominato Comis assessore della sua giunta, nonostante fosse ritenuto dalla Dda “colluso”, perché un uomo di fiducia del clan.

La bocciatura del Gip

Ma queste ipotesi di reato non hanno convinto il Gip. Per il giudice anzi deve proprio “escludersi la sussistenza dei necessari gravi indizi di reato”, in riferimento alla posizione del sindaco. La Dda di Catania non ci sta e adesso il Tribunale del Riesame ha stabilito la data in cui si deciderà sul ricorso dei magistrati del requirente.

Quella “promessa”, per l’accusa, sarebbe stata rispettata in un modo insoddisfacente per i clan, tant’è che seguirono delle proteste piuttosto colorite. E le assunzioni, in pratica, per il gip, “anche a volere individuare un nesso di corrispettività”, non sembrano “utilità suscettibili di essere oggetto di immediata monetizzazione”.

Non è possibile ritenere monetizzabili, in pratica, “la promessa dell’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa”; né “l’impegno, poi, a procurarne il rinnovo del contratto a tempo determinato”. E la stessa nomina di Comis, per il gip, è frutto della definizione della tornata elettorale.

L’accordo “mancante”

Per il giudice manca “la dimostrazione dell’effettiva esistenza di una “negoziazione elettorale contra legem”. Sta di fatto che la Procura la vede in maniera diversa, non ha cambiato idea e ha fatto ricorso. Se ne parlerà tra poco più di un mese.


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