CATANIA- Nuove testimonianze sul ruolo degli imprenditori e dei colletti bianchi nella realizzazione del centro commerciale “la Tenutella” sono al centro dell’udienza del processo “Iblis” conclusa questo pomeriggio nell’aula bunker di Bicocca. “Insieme a Giovanni D’Urso, di conseguenza, entra nell’affare Francesco Marsiglione. Camminavano sempre insieme”. Lo ha dichiarato Pietro Orlando, testimone chiamato a deporre dalla pubblica accusa dinanzi alla quarta sezione penale del Tribunale di Catania presieduta dal giudice Rosario Grasso. E sull’estromissione dall’affare dell’IRA Costruzioni, Orlando dice: “Furono D’Urso e Ragusa a rendere visita a Galeazzi, convincendolo a lasciare”. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, invece, due imputati di reato connesso in rito abbreviato. Sono il boss della famiglia Ercolano, Francesco Marsiglione, condannato lo scorso 22 settembre a 12 anni di reclusione, e Franco Costanzo detto ‘pagnotta’, a cui è stata inflitta una pena di 20 anni in quanto responsabile della famiglia mafiosa di Caltagirone.
Pietro Orlando è un imprenditore che ha scelto il patteggiamento per estorsione nel quadro del procedimento “Dionisio”. Le sue Coemi S.r.l. e la ditta individuale “Orlando Pietro” svolgevano servizi in subappalto per IRA Costruzioni, l’azienda ligure allora diretta da Alberto Galeazzi e dal cugino, l’ingegnere di La Spezia Francesco Ferrari. I sostituti della Dda etnea avevano raccolto per la prima volta le sue dichiarazioni in un verbale del 4 agosto 2005. Sui lavori in subappalto l’imprenditore non ha dubbi: “Ho ricevuto- ha detto oggi Orlando- richieste di denaro prima da Domenico La Spina, poi da Alfio Mirabile e, infine, da Umberto Di Fazio”. Il prezzo della messa apposto sarebbe stato fissato dai clan nel 1998 proprio da La Spina, l’allora reggente della famiglia Santapaola che sarebbe stato ucciso nel 2002. “Mi chiedeva 5 euro o 5 mila lire a metro quadro, non ricordo bene”. Ma già nel marzo 2008 proprio l’ex vicepresidente di IRA costruzioni, Francesco Ferrari, protagonista della deposizione dello scorso 13 dicembre, confermò durante il dibattimento del processo Dionisio “il pagamento, per il 2003 e il 2004, di somme di denaro alla famiglia mafiosa Santapaola tramite la sovrafatturazione delle prestazioni svolte proprio dal fornitore Pietro Orlando”.
Orlando sarebbe stato il primo ad intuire le potenzialità dell’affare di Misterbianco. “Lavoravo a Monza- ha detto ai Pm, Antonino Fanara e Agata Santonocito- quando capii che solo in contrada Cubba si poteva aprire un centro commerciale”. Per questo acquistò 8 ettari di terreno, un’estensione che sarebbe stata presto giudicata insufficiente da un suo potenziale partner. “Venni in contatto- ricorda- con Rosario Ragusa, che puntava a costruire un centro commerciale su un’area da 100 ettari”. Risale al 2002 anche l’interessamento dell’IRA Costruzioni di Alberto Galeazzi. “Mi arrabbiai un po’, perché finirono per rubarmi l’affare”, ammette ora Orlando. “Ragusa e Galeazzi- continua- conclusero l’accordo e chiesero al Comune di Misterbianco una modifica del Prg, perché allora i terreni erano a destinazione agricola”. L’estromissione dalla realizzazione del centro commerciale, però, coincide per Orlando con l’inizio di problemi.
“Mi disse Salvatore Copia che se continuavo a pagare Mirabile, Enzo si arrabbiava”.Il riferimento, secondo i Pm, è al contrasto già emerso nell’indagine “Dionisio” tra il gruppo di Antonino Santapaola, capeggiato da Alfio Mirabile, e quello degli Ercolano, rappresentato in quell’affare da Mario Ercolano e da Francesco Marsiglione. Sullo sfondo, la leadership nascente di Vincenzo Salvatore Santapaola, allora libero. E proprio al boss Marsiglione, condannato definitivamente per mafia nel ’96 e nel 2007, la pubblica accusa fa risalire l’interesse a coltivare l’affare per conto di Francesco Arcidiacono, cassiere della famiglia. Agli atti dell’indagine “Iblis” ci sono le conversazioni avvenute a Bicocca tra Francesco Marsiglione, allora detenuto, e il figlio Girolamo. L’argomento erano proprio le direttive da trasmettere sulla vicenda all’esterno. Suoi uomini sarebbero stati, a questo fine, l’imprenditore Giovanni D’Urso e Felice Naselli. E’ in questo quadro che Turi Copia minaccia Orlando: “Volevano dirmi che le cose stavano cambiando- ha riferito l’imprenditore- che l’IRA non era più gradita nell’affare e che i Mirabile non comandavano più”. Orlando, insomma, doveva mettersi apposto con Marsiglione e con Arcidiacono. Dopo l’uscita dal carcere, Francesco Marsiglione va subito a rendere visita ad Arcidiacono, detto “ù salaru”, presso il suo negozio di Via Imbriani. Ma, alla fine, i vertici della famiglia preferirono occuparsi della faccenda direttamente. “Giovanni D’Urso- ha ricordato Orlando- entra nell’affare ai tempi della conferenza di servizi in Comune”. Dinanzi alle minacce degli uomini di Marsiglione, l’imprenditore fu costretto a cedere i terreni. “Ad un prezzo inferiore a quello d’acquisto”, assicura. E sul fronte politico: “L’iter fu veloce al Comune, ma non so dire se ci furono pressioni”. La prossima udienza vedrà la deposizione di Giovanni Fortunato, proprietario di una parte dei terreni e padre dei due testi di oggi, Antonio e Roberto, che hanno spiegato di non conoscere i protagonisti per non essersi occupati della vendita in prima persona. Poi sarà la volta di Rosario Ragusa, già condannato in abbreviato per concorso esterno, e di Maurizio Zuccaro, assolto ma considerato dall’accusa tra le personalità ad oggi più rilevanti della famiglia Santapaola.