L'agenda rossa, le telefonate di Borsellino e i "non ricordo"

L’agenda rossa, le telefonate di Borsellino e i “non ricordo”

I punti oscuri di una strage senza una verità completa
STRAGE DI VIA D'AMELIO
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PALERMO – L’agenda rossa, le telefonate di Borsellino, i troppi “non ricordo”. Nelle oltre 1.400 pagine di motivazione della sentenza sul cosiddetto “depistaggio di via D’Amelio” (i poliziotti erano imputati per calunnia aggravata) si sono tre temi che descrivono il magma dentro cui si muove da decenni.

Chi ha rubato l’agenda rossa?

Chi ha rubato l’agenda rossa? Il Tribunale di Caltanissetta presieduto da Francesco D’Arrigo propone una chiave di lettura per esclusione: “A meno di non ipotizzare scenari inverosimili di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di appartenenti alle forze dell’ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra“.

“Il movente dell’eccidio di via D’Amelio certifica la necessità per soggetti esterni a Cosa nostra di intervenire per alterare il quadro delle investigazioni evitando che si potesse indagare efficacemente sulle matrici non mafiose della strage”.

Il metodo è deduttivo. Si parte da una premessa, quasi postulata, e si arriva alla conclusione che “ne discendono due ulteriori logiche conseguenze. In primo luogo, l’appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l’agenda”.

Un personaggio misterioso perché “gli elementi in capo non consentono l’esatta individuazione della persona fisica che procedette all’asportazione dell’agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre”.

Gestione “incredibile”

Al di là delle considerazioni dei giudici sul punto, che potrebbero prestarsi ad una lettura critica, c’è un dato incontrovertibile: “Quel che è certo è che la gestione della borsa di Borsellino dal 19 luglio al 5 novembre è ai limiti dell’incredibile: nessuno ha redatto un’annotazione o una relazione sul suo rinvenimento, nessuno ha proceduto al suo sequestro e, nonostante da subito vi fosse stato un evidente interesse mediatico scaturito”.

Le “amnesie” dei poliziotti

E quando si è cercato di capirne di più in aula ci si è scontrati con i troppi “non ricordo”, sconfinati in quella che viene bollata con “omertà istituzionale”. Quattro poliziotti rischiano l’incriminazione per falsa testioinianza. Il tribunale ha trasmesso alla Procura i verbali di Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Ganci, Angelo Tedesco e Vincenzo Maniscaldi. Ad occuparsi del caso è adesso il sostituto procuratore Maurizio Bonaccorso.

“Nel clima di omertà istituzionale il dibattimento ha consentito di cristallizzare quattro ipotesi nelle quali soggetti appartenenti o ex appartenenti alla polizia di stato e al gruppo Falcone e Borsellino hanno reso dichiarazioni insincere”, scrivono su di loro i giudici. I loro ricordi non sarebbero solo offuscati dal trascorrere del tempo.

Nella sentenza si parla anche dell’ex pm Giuseppe Ayala, che nel terribile pomeriggio di via D’Amelio ebbe in mano la borsa di Paolo Borsellino, consegnandola poi a un “ufficiale dei carabinieri” rimasto senza nome: “Appare inspiegabile — scrivono — il numero di mutamenti di versione rese nel corso degli anni in ordine alla medesima vicenda dal giudice Giuseppe Ayala pur comprendendosene lo stato emotivo profondamente alterato”.

Ayala non ci sta: “Continuo ad avere un grande rispetto per i giudici, ma sono davvero amareggiato per quello che scrivono. Io, in quel momento, mi ero appena imbattuto nel cadavere del mio amico Paolo, che era senza gambe e senza braccia. Ho fatto fatica a riconoscerlo. E c’era questa storia della borsa, ovviamente chiusa. Io ignoravo il contenuto e mi sono confuso”.

Le telefonate “sparite”

Gioacchino Genchi, ex funzionario di polizia ed esperto informatico, segnalò “una anomalia di significativo rilievo” e cioè la mancata acquisizione del traffico in entrata sull’utenza mobile di Paolo Borsellino. In aula Genchi era stato durissimo: “Il traffico telefonico del cellulare del dottor Paolo Borsellino in entrata è stato fatto scomparire. Non è mai stato conferito al gruppo di indagine Falcone e Borsellino, non è mai stato depositato agli atti dei processi e lei non lo troverà da nessuna parte”.

Il traffico telefonico fu comunque sviluppato? La risposta sembrerebbe essere sì leggendo alcune informative del gruppo “Falcone e Borsellino” che indagava sulle stragi. Il lavoro del gruppo, però, è lo stesso che ha prodotto il depistaggio e ha dato credito al falso pentito pentito Vincenzo Scarantino.

Se avesse ragione Genchi, scrivono i giudici del Tribunale, “non vi è dubbio che si tratterebbe dell’ennesima sottrazione di elementi utili alla ricostruzione della strage di Via D’Amelio”. Ancora una volta, però, c’è una certezza: i tabulati non ci sono tanto che il collegio scrive: Invero, il non avere a disposizione le chiamate in entrata sul telefono del Dott. Borsellino ha indubbiamente sottratto importanti piste investigative che se percorse subitaneamente avrebbero consentito di ricostruire più agevolmente gli ultimi giorni di vita del Dott. Borsellino senza dover ricorrere, a distanza di molti anni, ad assunzioni testimoniali che per loro natura – a prescindere dalla buona o malafede del dichiarante – si prestano a maggiori imprecisioni”.


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