Abbiamo appena finito di ricordare il trentennale delle strage di Capaci e ci apprestiamo alla memoria dei trent’anni di via D’Amelio, in quell’unica sintesi che racchiude una stagione di ferocia e di dolore, ed ecco che ci viene incontro la vecchia e nuova mafia: è cambiata nelle firme, nei protagonisti, in certi esiti, è stata decimata dagli arresti. Ma la sua acqua sporca scorre ancora dentro un orrore che i suoi affiliati chiamano ‘onore’. Nuove e vecchie cose, anche nel blitz del quartiere Noce, la cui famiglia “era nel cuore di Totò Riina”. Ed è, ancora una volta, una storia – al netto delle indagini che obbligano a leggere le singole posizioni con l’aggettivo ‘presunto’ e il condizionale – di putrefazione siciliana, nella foschia indistinta che rende un mafioso, ai suoi stessi occhi, nella sua percezione distorta, un ‘uomo d’onore’.
Abbiamo nel cuore il sorriso malinconico di Giovanni Falcone – in certe occasioni sfolgorante, ma più spesso conscio delle storture del mondo – e i sorrisi luminosi di Francesca Morvillo, ci apprestiamo ad incontrare il sorriso ironico di Paolo Borsellino, un attimo prima di suonare il citofono, ed ecco, sì, che ci viene addosso il mondo sotterraneo e visibile delle cosche. Che si vantano di seguire regole che andrebbero seppellite con gli attrezzi osceni di Cosa nostra.
“Sarebbe stata così documentata l’ascesa al vertice del mandamento Noce/Cruillas di colui che sarebbe ritenuto l’attuale capo, dopo aver sofferto un lungo periodo di detenzione in carcere”, si legge nel comunicato stampa della questura, che sintetizza l’operazione. Ovvero: Giancarlo Carmelo Seidita, di cui parliamo diffusamente in un altro articolo del nostro giornale. Un uomo che avrebbe riorganizzato il mandamento, contando sul proprio pedigree criminale, con personale di sua fiducia.
“Il rispetto delle regole di cosa nostra – recita il comunicato – per gli associati sarebbe il leitmotiv dell’intera indagine, spasmodica sarebbe risultata, inoltre, la ricerca di nuovi affiliati rispettosi delle regole di comportamento imposte ai membri di cosa nostra, compresa la regola secondo la quale non sarebbe consentita l’affiliazione di soggetti imparentati con appartenenti alle forze dell’ordine. Rievocando le regole di comportamento imposte ai membri di cosa nostra, le nuove leve avrebbero dovuto possedere la capacità di porsi con autorevolezza ed avere una maggiore efficienza nello svolgimento delle attività criminali, vietando di commettere azioni non rispettose del codice d’onore di cosa nostra”.
E c’è il linguaggio che traspare dalle indagini, con i protagonisti che si rivolgono l’uno all’altro, presentandosi con: “E’ la stessa cosa”, ragionando con una sintassi riconoscibile. E si ha quasi l’impressione di assistere a una delle tante fiction, qualcuna un po’ sgangherata, su picciotti e mammasantissima. Solo che questa è cronaca, non sceneggiatura, intorno al corpo rinnovabile della mafia. Che ha subito colpi mortali. Che ha ucciso i siciliani migliori. E che si riorganizza sempre, mostrando se stessa, trent’anni dopo quel tragico ’92, come se il tempo non fosse mai passato. (Roberto Puglisi)