Dai boss al "vigile talpa" | Condanne per il clan di Resuttana - Live Sicilia

Dai boss al “vigile talpa” | Condanne per il clan di Resuttana

Il Palazzo di giustizia di Palermo

La Suprema Corte scrive la parola fine al processo nei confronti di 7 imputati arrestati in un blitz antimafia del 2009. Sotto processo i fratelli Madonia della cosca palermitana di Resuttana e un agente municipale per rivelazione di notizie riservate. Il suo avvocato: "Una condanna paradossale".

IN CASSAZIONE
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PALERMO – Condanne definitive per i mafiosi del clan di Resuttana. Condanna definitiva per un vigile urbano, sospeso dal servizio, accusato di avere passato notizie riservate. La Cassazione scrive la parola fine al processo nei confronti di sette imputati. E le pene sono pesanti: Antonino Madonia (27 anni e 4 mesi), Giuseppe Madonia (13 e 4 mesi), Salvatore Madonia (14 anni), Nicolò Di Trapani (8 anni). Massimiliano Lo Verde (5 anni), Antonino Corsino (3 anni), Giuseppina Di Trapani (2 anni).

Il processo nasceva dall’operazione Rebus che nel 2009 colpì il clan di Resuttana. La famiglia Madonia continuava a comandare su tutto e tutti. Il patriarca Francesco era morto due anni prima. Il testimone passò ai figli Nino, Salvatore e Giuseppe. Che nonostante fossero detenuti al carcere duro continuavano a dirigere l’organizzazione. I colloqui erano la giusta occasione per passare gli ordini all’esterno. I corrieri dei dispacci erano i familiari dei Madonia. In particolare i Di Trapani (la moglie di Salvino, Mriangela Di Trapani, è stata giudicata in un altro processo).

Nel fascicolo dell’inchiesta finirono le dichiarazioni del pentito Manuel Pasta. Fu lui a inguaiare Corsino, dicendo che “il vigile urbano era a disposizione”. Il riferimento era ad una telefonata registrata mentre Corsino parlava con Francesco Di Pace, l’uomo a cui, secondo l’accusa, i Lo Piccolo avevano affidato il business dei maxischermi pubblicitari. Corsino avvertì in anticipo Di Pace che i colleghi della Muncipale stavano andando a sequestrare un maxischermo a Mondello. Un’accusa che, però, nel caso di Di Pace non ha retto, visto che è stato assolto in un altro processo.

“Siamo di fronte ad un paradosso – spiega il legale di Corsino, l’avvocato Dario Gallo -, viene condannato l’uomo che avrebbe rivelato la notizie e assolto colui che ne avrebbe beneficiato. Per altro, l’unica telefonata che ha retto al vaglio dei giudici è stata quella in cui si parlava di Mondello e nel coso della quale Corsino si limitò a dare consigli leciti”. Il vigile è da tempo sospeso, ora che la condanna è definitiva perderà il posto di lavoro.

Le indagini dei carabinieri del Ros svelarono anche gli affari del clan. Ad esempio, gli investimenti del clan nell’apertura del Bar Sofia di fronte l’ospedale Villa Sofia. Per il concorso nell’intestazione fittizia è stato condannato Lo Verde, che era stato precedentemente assolto dalla più pesante accusa di associazione mafiosa.

 


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