PALERMO – La telecamere hanno registrato per mesi la vita dei nuovi boss. Dagli incontri che avevano la pretesa di essere segreti fino al gesto conclusivo di scherno. L’ultima sfida dei mafiosi, o presunti tali, palermitani è una mano che saluta a favore di telecamera. Quando i triumviri del mandamento di Pagliarelli – Alessandro Alessi, Giuseppe Perrone e Vincenzo Giudice – capirono di essere braccati risposero salendo sul piedistallo dell’arroganza.
Sapevano che dall’altra parte dell’obiettivo c’erano gli sbirri. Sapevano che quelle immagini sarebbero state la loro rovina. Sapevano che le manette erano inevitabili. Eppure decisero di ostentare sicurezza, per dimostrare ai carabinieri che ne seguivano gli spostamenti di non avere paura.
La storia della mafia è film, fatto di scene e dialoghi captati da microspie e telecamere piazzate a tappetto. I mafiosi lo sanno, non possono non saperlo, eppure parlano. C’è chi parla troppo e chi poco. E chi, come l’ultimo dei padrini latitanti, Matteo Messina Denaro, resta un fantasma che scrive pizzini con il contagocce, come hanno dimostrato le recenti indagini del passato.
Il caso del capomafia di Castelvetrano resta, però, un unicum. Altrove, e anche a Palermo, i mafiosi non hanno altra scelta, dicono gli investigatori: per continuare a mandare avanti la baracca devono discutere e fissare appuntamenti in giro per la città.
Il bar all’interno dell’ospedale Civico gestito da Giudice, la stradina di periferia dove viveva Perrone, la sala biliardi dove Alessi fissava gli appuntamenti: non ci sono luoghi sicuri e al riparo dall’azione degli investigatori. Ed ecco che, di fronte all’ineluttabile certezza di finire nei guai, i mafiosi scelgono un saluto come gesto di stizza, per manifestare quella superiorità di cui credono di essere dotati.
Solo alla fine, però, al termine di una caccia continua per scovare microspie e telecamere. “Dobbiamo raccogliere le arance”; “Bisogna fare il giardinaggio”; “I muratori devono togliere i mattoni”: al telefono i picciotti cercavano di essere criptici. Il loro compito era sbarazzarsi delle telecamere. E in parte ci sono pure riusciti. In un terreno abbandonato in via Olio di Lino, i carabinieri trovarono i resti di alcune apparecchiature elettroniche distrutte con il fuoco.
Non poteva bastare, però, a stoppare il film sulla nuova mafia che i carabinieri hanno continuato a registrare nel cuore di uno dei più potenti mandamenti mafiosi della città, azzerato con il blitz Verbero di fine maggio. Le informative depositate sono zeppe di fotogrammi. Tra questi, c’è l’immagine simbolo. Davanti al bar del Civico la telecamera zooma su Perrone che indica a Giudice l’esatto punto dove è piazzato l’occhio elettronico. Poi Perrone, prima di salire sulla Smart di Alessandro Alessi, alza la mano e saluta. Un gesto di stizza, di scherno, non certo di resa.