Mafia, caffè e intestazioni fittizie| 6 anni all'imprenditore Maniscalco - Live Sicilia

Mafia, caffè e intestazioni fittizie| 6 anni all’imprenditore Maniscalco

Il bar sequestrato e riaperto in amministrazione giudiziaria

Dopo il sequestro di beni arriva la condanna. Riapre il Gran Cafè San Domenico.

PALERMO – Condanna a sei anni per Francesco Paolo Maniscalco accusato di avere schermato una serie di beni facendoli intestare a dei presunti prestanome. Uno di questi, Francesco Paolo Davì, ha avuto due anni per intestazione fittizia.

Storia giudiziaria tormentata quella di Maniscalco. Di lui si iniziò a parlare nel 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà, a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui non si è saputo più nulla. Del commando faceva parte Maniscalco. Nella sua fedina penale c’è anche una condanna per mafia con il suo nome accostato a quello di Totò Riina. Di recente all’imprenditore i finanzieri hanno sequestrato un patrimonio che vale 15 milioni di euro. Perché Maniscalco, dopo avere finito di scontare nel 2006 una condanna a sei anni e otto mesi, è diventato un pezzo grosso nel settore del caffè. Caffè e non solo a giudicare dall’elenco dei beni finiti in amministrazione giudiziaria: il Gran Cafè San Domenico, il Bar Intralot di via Carlo Pisacane, il Bar Trilly di via Giacomo Cusmano, e le società “Cieffe Group” e “Sicilia e Duci Distribuzione” che vendono all’ingrosso caffè e prodotti alimentari. Tutte le imprese proseguono l’attività in amministrazione giudiziaria. Il Gran cafè San Domenico ha ripaerto nei giorni scorsi dopo uno stop forzato per mettere a posto alcune autorizzazioni e regolarizzare la posizione dei lavoratori, quasi tutti in nero sotto la vecchia amministrazione.

Maniscalco, secondo il pubblico ministero Dario Scaletta, cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre. Alcuni collaboratori di giustizia dissero di lui che ambiva a diventare il leader nella distribuzione di caffè in città con il suo marchio “Caffè Floriò”. I commercianti, pur di non avere guai, avrebbero accettato l’imposizione della merce, nonostante la qualità, in alcuni casi, non sarebbe stata delle migliori. Questo capitolo investigativo, però, non ha retto al vaglio del giudice per l’udienza preliminare Lorenzo Matassa (il processo si svolgeva con il rito abbreviato).

Tra i commercianti che avevano subito l’imposizione delle forniture ci sarebbe stato Marco Coga, poi divenuto collaboratore di giustizia: “Venne Giuseppe Calvaruso, mi disse: ‘Pigliati il caffè di Maniscalco, te lo devi prendere, perché se lo stanno prendendo tutti al Villaggio'”. Calvaruso, però, fu assolto in un precedente processo. Due i punti sui cui insistettero i suoi legali: all’epoca in cui sarebbe avvenuta l’estorsione, siamo nel 2001, Calvaruso non poteva essere considerato un mafioso, visto che la sentenza nei suoi confronti è stata emessa successivamente; la società di Maniscalco sarebbe stata costituita dopo la presunta imposizione della fornitura.


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