Mafia, Catania: il clan e l'estorsione che dura 20 anni - Live Sicilia

Mafia, gli affari dei clan e l’estorsione lunga 20 anni

Le indagini del blitz "Tuppetturu" sulle attività che pagavano il pizzo ai Cintorino e ai Brunetto

CATANIA – Sono le estorsioni il perno dell’operazione Tuppetturu della Guardia di Finanza, che questa mattina ha portato in carcere 24 persone dei clan Cintorino e Brunetto. L’abitudine degli uomini dei clan a girare la provincia come trottole, per coordinare le diverse organizzazioni criminali sul territorio nella riscossione del pizzo, ha dato il nome all’inchiesta, che è stata coordinata dalla Procura attraverso i Procuratori aggiunti Ignazio Fonzo e Francesco Puleio ed i sostituti Giuseppe Sturiale, Assunta Musella e Fabio Regolo.

I due clan coinvolti sono i Cintorino e i Brunetto, referenti nell’area ionico – etnea rispettivamente dei clan catanesi Cappello e Santapaola Ercolano. Entrambi facevano affari, oltre che con traffici di marijuana e cocaina, con estorsioni che arrivavano fino a 4 mila euro al mese.

Isola bella

L’operazione Tuppetturu è in collegamento diretto con quella denominata Isola Bella, che nel 2019 portò in carcere 31 persone con l’accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso e altri reati gravi. Tra questi c’era anche Carmelo Porto, esponente storico del clan Cintorino, che una settimana dopo il blitz decise di collaborare con la giustizia.

Dalle dichiarazioni di Porto la Guardia di Finanza ha tratto nuovi spunti investigativi e conferme di vecchie indagini. Per il generale Antonino Raimondi, comandante provinciale della Finanza, “l’operazione Tuppetturu è una indagine tipica della Guardia di Finanza, con riscontri investigativi fatti sulle dichiarazioni dei collaboratori e indagini di polizia economico – finanziaria”.

Le estorsioni

Una parte rilevante delle indagini dei Finanzieri si è concentrata sulla richiesta del pizzo nella zona ionica, dunque nei comuni a cavallo della provincia di Catania e Messina come Calatabiano, Giardini Naxos e Taormina. A descrivere il modus operandi delle associazioni mafiose è il tenente colonnello Diego Serra, comandante del Nucleo di polizia economico – finanziaria: “I clan facevano trovare delle bottiglie incendiarie davanti alle attività, accompagnate da biglietti intimidatori in cui si invitava a ‘trovarsi l’amico’ o si minacciava di incendiare il locale”.

Questo per spingere gli imprenditori a prendere contatti con l’organizzazione mafiosa e pagare il pizzo, che di solito ammontava a 3 – 4 mila euro annui, da pagare in diverse tranche. Nel corso delle indagini sono stati documentati dalla Guardia di Finanza 6 casi di estorsione ai danni di attività commerciali nei settori edile, della balneazione e alimentari. Di questi, specificano gli investigatori della Finanza nel corso di una conferenza stampa, nessuno ha denunciato il tentativo di estorsione.

Venti anni

Un caso particolarmente vistoso di estorsione è quello a danno di un’attività di vendita di bevande all’ingrosso, a Taormina. A questa attività il clan Cintorino ha chiesto per la prima volta il pizzo nel 2001, e l’estorsione è andata avanti per i venti anni successivi, fino al 2021.

Anche in questo caso i titolari dell’attività non hanno denunciato l’estorsione, che è emersa solo dalle dichiarazioni di Carmelo Porto quando ha iniziato a collaborare. L’estorsione, secondo la ricostruzione degli investigatori, è iniziata con un pagamento mensile di 500 mila lire, per un totale di sei milioni di lire pagato ogni tre mesi. Con l’arrivo dell’euro il pizzo era passato a 3 mila euro all’anno, anche questi riscossi ogni tre mesi con rate da 750 euro. Tutti i soldi finivano nelle casse del clan Cintorino.


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