Mafia a Catania, tensioni tra i capi: “Gli sparo in faccia"

Mafia a Catania, tensioni tra vecchi e nuovi capi: “Gli sparo in faccia”

Estorsioni e controllo del territorio
L'INCHIESTA
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ADRANO (CATANIA) – “Lo chiami, lo fermi: ti do un’ora di tempo, se non mi porti 20 mila euro ti sparo in faccia”. Non aveva certo usato mezzi termini Alfio Di Primo, uno degli ultimi presunti capi del clan Scalisi di Adrano, nell’istruire il suo esattore del pizzo. La vittima predestinata, un imprenditore agricolo che lavorava tra la Sicilia e la Calabria, terrorizzato, aveva pure deciso di pagare.

Peccato per loro che la polizia avesse capito tutto, intercettato le loro conversazioni e fosse in allerta. Così, al momento di pagare una prima “rata”, di 3 mila euro, gli agenti hanno bloccato l’imprenditore assieme a due uomini del pizzo. In tasca aveva un rotolo di banconote. 

“Al Signore glielo puoi andare a dire”

Il conto totale? Tremila euro. Per l’appunto: una delle ipotesi contestate nell’ordinanza del gip Simona Ragazzi, che ha mandato a gambe all’aria la nuova riorganizzazione del clan Scalisi. Tra gli indagati c’è pure Di Primo. L’accusa è tentata estorsione. “Consta – si legge nell’ordinanza – che il fatto non sia approdato a consumazione solo per la mancanza di un’evidenza specifica in ordine alla effettiva corresponsione finale di una somma di denaro”.

Le direttive di Di Primo ai suoi erano state queste: “Lo chiami che va girando e ci va scassando la m. Lo fermi: ti do un’ora di tempo, se non mi porti 20 mila euro figlio di s. m. tra un’ora ti sparo nella faccia. Al Signore glielo puoi andare a dire. Tra un’ora ti ammazzo”.

“Fantozzi? Se respira gli sparo in faccia”

Di Primo, come noto, già è cognato del leader storico del clan Scalisi ad Adrano, Giuseppe Scravaglieri. E dalle intercettazioni emerge come una figura tutt’altro che anacronistica. Anzi parla quasi da boss. Non esiste che in una città dove comandano gli Scalisi qualcuno possa pagare il pizzo al gruppo dei Santangelo. Per lui non c’è proprio storia: le vittime devono pagare il clan Laudani. 

E se “Fantozzi”, un altro presunto fedelissimo del clan Scalisi, si fosse messo in mezzo, lui lo dice chiaramente: “Se respira gli sparo in faccia”. “Quando volete fare famiglia vi mettete le pistole addosso, prima ammazzate a me e levate la mia di famiglia e poi cercate di fare famiglia – dice ancora Di Primo nelle intercettazioni – così funziona qua”. 

La genesi di una tentata estorsione

La tentata estorsione, nasce proprio nell’ambito delle critiche rivolte da Di Primo all’operato di questo presunto appartenente al clan. A cui Di Primo, scrive il gip, “addossava la responsabilità di essersi accordato in tante cose con la famiglia mafiosa Santangelo”. A quel punto viene fuori la richiesta di andare “a prendere” l’imprenditore agricolo da minacciare. Era il 9 marzo dell’anno scorso. L’imprenditore fu avvicinato una prima volta dal clan il 27 marzo. 

“Alla fine – si legge sempre nell’ordinanza – veniva raggiunto un accordo che consisteva nel pagare, “in estate, in tempo di disoccupazione”, una prima tranche di duemila, tremila euro”. La posizione di Di Primo emerge come del tutto particolare. Lui sottolinea di non potersi occupare personalmente di tutto, ma che di queste “minc….” dovessero “occuparsi i sodali a lui subordinati”.


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