CATANIA – Giovanni Tinebra si racconta in una mattina prima della vigila di Natale, nel suo ufficio della Commissione Tributaria in piazza Teatro. Sogni passati, traguardi raggiunti, stato di salute della giustizia, lotta alla mafia e anche “Protocollo Farfalla”. Le sue verità. Da poche settimane, all’età di 73 anni, il magistrato ha lasciato la guida della Procura Generale di Catania, il suo ultimo ruolo dopo quasi mezzo secolo indossando la toga. Procuratore di Caltanissetta negli anni delle stragi, mentre dal 2001 al 2006 è stato capo del Dap. Ed e’ questo il periodo lavorativo finito nel ciclone “Protocollo Farfalla”.
Dottor Tinebra da qualche mese ha lasciato la magistratura. Come possiamo definire questa esperienza professionale?
Lascio giudicare lei. Ho fatto il magistrato per la bellezza di 47 anni, molto più di una vita, forse due vite. Le dirò che sono andato via senza rimpianti. Sono andato via con la coscienza di aver fatto un buon lavoro e di averlo fatto fino in fondo. Ho esercitato una professione che è speciale.
Perché è speciale?
Intanto perché ti pone in una condizione strana. Nel senso che se tu nel civile hai da dire chi delle due parti ha ragione: la parte a cui viene attribuita la ragione dirà che non se ne poteva fare a meno, quella che perde dirà che mi sono messo d’accordo con la parte avversaria. E viceversa il penale, se uno viene condannato è innocente se uno viene assolto il commento è: chissà cosa c’è dietro? Siamo destinati a restare sempre più soli. Però è una solitudine che non ci deve cogliere come una tagliola: dobbiamo avere il coraggio di uscire fuori all’esterno e affrontare la gente. E devo dire che è una cosa che ho sempre fatto con grande risultato.
Perché questo lavoro porta all’isolamento?
Si ha il dovere di essere e soprattutto di dimostrare di essere assolutamente imparziali. Equidistanti dalle parti. E molte volte non è una cosa semplice perché bisogna contemperare a questa esigenza e contemporaneamente mostrarsi alla gente, non starsene chiusi nella cosiddetta torre d’avorio. Bisogna confrontarsi con la gente, nella società e far capire come vanno le cose.
A chi dice che la magistratura è una casta, cosa risponde?
Le caste esistono solo in India. In Italia esistono categorie.
Quali sono i problemi degli uffici giudiziari di Catania?
Sono tanti. Mancano locali e manca il personale. Sembra poco ma in realtà è la molla che potrebbe spingere con un grosso colpo di frusta la giustizia catanese.
Come sta lavorando, secondo lei, il Procuratore Giovanni Salvi?
Benissimo. Ha portato alla Procura di Catania una nota di dinamismo. Ci sono dei bravi magistrati che hanno una grossa motivazione e che si impegnano allo spasimo.
Dottor Tinebra cosa l’ha spinta a scegliere questa professione? Aveva un punto di riferimento?
Da giovane, nel periodo della fanciullezza, volevo fare l’ufficiale di marina: andare in giro per il mare a salvare le donzelle a bordo delle navi muniti di cannone. Questa mirabile visione cambiò molto presto e decisi di fare il medico: mi piaceva moltissimo. Il medico è il detective della malattia. C’era un però: non riuscivo a sopportare la vista del sangue e questo credevo fosse un deterrente alla mia decisione di cosa ‘fare da grande’. Ho deciso di non fare il medico ma ho cominciato a fare il becchino: con tutti i cadaveri che ho visto. Ho dovuto abbandonare, quindi, questa visione di idee. Ma questo mi ha dato un grosso insegnamento: non c’è nulla che ci possa limitare o si possa ritenere insormontabile se si ha veramente voglia di fare.
Ha un magistrato che l’ha ispirata?
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Specialmente Paolo, che era un amico personale,. mi ha molto aiutato. Mi ha dato la spinta quando mi sentivo scoraggiato e ha fatto sì che trovassi la forza e anche la fortuna di costruire dal nulla una Procura quando non c’era niente.
Parla della Procura di Caltanissetta?
Una Procura nella quale si lavorava sodo e si lavorava bene. Siamo riusciti a scoprire e ad assicurare alla giustizia con sentenze passate in giudicato i responsabili della strage di Falcone, di Borsellino, l’omicidio Livatino, Saetta, Chinnici e chi più ne ha più ne metta. E’ stato un lavoro immane. Io amavo dire che eravano la legione straniera. Avevamo sparso la voce che cercavamo colleghi da applicare, i magistrati chiedevano l’applicazione a Caltanissetta per massimo due anni e questi magistrati lavoravano sodo solo sulle stragi.
C’è ancora da scoprire sulle stragi?
Certo. Messo in luce il filone principale ci sono tanti filoni secondari che possono e devono essere approfonditi. I colleghi che mi hanno seguito stanno facendo un buon lavoro.
La Mafia è cambiata rispetto a quegli anni?
Si.
In cosa?
Ha imparato una lezione che non ha dimenticato: non è onnipotente. La mafia è cambiata. Nel senso che si è inabissata: ha minor campo d’azione. E’ meno difficile condurre indagini sulla mafia. Io ho sempre paragonato la lotta alla mafia ad un percorso di gallerie: tutto buio, uno spazio di luce e poi di nuovo buio. Ora siamo usciti: siamo in piena pianura e sotto la luce del sole lavoriamo bene.
Lei si fidava dei collaboratori di giustizia?
La mia regola è stata sempre credi solo a quello che trovi di constatato nelle carte processuali. Il collaboratore ti racconta una storia poi tu devi scoprire se è vera o meno.
Quindi basarsi sui riscontri?
Certo. Così come abbiamo fatto con Scarantino. Noi non abbiamo creduto a Scarantino, abbiamo creduto a quello che nel suo discorso risultava provato.
Palermo finalmente ha un procuratore capo.
Un ottimo procuratore.
Lo Voi è la persona giusta per la Procura di Palermo?
Si. Dinamico quanto basta, moderato quanto basta e coraggioso quanto basta.
Bozza di legge sulla depenalizzazione, cosa ne pensa?
Ogni cosa ha i suoi pro e i suoi contro. In ogni caso tutte le iniziative di modifica legislativa, specialmente in un campo così delicato, vanno studiate, meditate, approfondite, dibattute e poi finalmente adottate.
Dottor Tinebra parliamo di Protocollo Farfalla, questa sorta di ‘patto’ che avrebbe permesso agli agenti del Sisde di ricevere informazioni dai detenuti al 41 bis. Da qualche mese si è scatenata una polemica, se così la vogliamo definire, e si fa anche il suo nome, di quando lei era capo del Dap.
Alla polemica non lascio alcuno spazio. Posso solo dire che nella mia qualità ho avuto generalissimi incontri istituzionali con i rappresentanti dei servizi.
E’ sereno?
Assolutamente.