Mafia ed estorsioni sui Nebrodi |Inchiesta chiusa per i 9 indagati - Live Sicilia

Mafia ed estorsioni sui Nebrodi |Inchiesta chiusa per i 9 indagati

Contestati diversi episodi di violenza ai danni di allevatori e coltivatori.

l'inchiesta dei ros
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CATANIA. Associazione mafiosa e tentata estorsione. Sono questi i capi di imputazione contestati a vario titolo ai nove indagati dell’operazione Nebrodi con cui, lo scorso febbraio, i Ros, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, hanno inflitto un durissimo colpo alla mafia operante tra Cesarò e Bronte. La chiusura dell’inchiesta, che porta la firma dei sostituti procuratori Antonino Fanara e Fabio Saponara, è stata notificata a Salvatore Catania, detto Turi, ritenuto dall’accusa a capo dell’articolazione di Cosa nostra nei comuni di Bronte, Cesarò, Maniace e Randazzo; Giovanni Pruiti, considerato il referente dei Santapaola – Ercolano a Cesarò, dopo l’arresto del fratello Giuseppe; Roberto Calanni; Giuseppe Corsaro; Carmelo Lupica Cristo; Antonino Galati Giordano; Luigi Galati Giordano; Salvo Germanà e Carmelo Triscari Giacucco.

Numerosi gli episodi di violenza che sarebbero stati perpetrati dagli indagati ai danni di allevatori e coltivatori, documentati nel corso dell’attività investigativa avviata nell’estate del 2016. L’obiettivo, secondo l’accusa, sarebbe stato appropriarsi dei fondi agricoli necessari per ottenere poi gli ingenti contributi economici erogati dall’Europa. Diverse le intimidazioni rivolte alle vittime, tra cui numerosi furti di bestiame, per costringerle a svendere i terreni. In un’occasione sarebbero stati uccisi anche quattro suini e con il sangue degli animali sarebbero state disegnate tre croci e due G sulle lamiere del garage di un allevatore di Cesarò. Quando le minacce non bastavano a raggiungere l’obiettivo si passava anche ai fatti. Calci, pugni e addirittura un morso al lobo di un orecchio, tra le violenze subite dalle vittime. Almeno quattro gli allevatori che, secondo la Procura, avrebbero subito pressioni pesantissime dagli indagati, disposti a tutto pur di aggirare il cosiddetto protocollo Antoci, varato dal presidente dell’Ente Parco per ostacolare la partecipazione dei clan ai bandi per l’assegnazione dei terreni. Un blocco che potrebbe essere all’origine del grave attentato subito nel 2016 da Giuseppe Antoci raggiunto, mentre viaggiava in auto, da diversi colpi di arma da fuoco. Agguato fortunatamente fallito.

 

 


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