Mafia, i guardiani delle terre ad Adrano: il racket antico degli Scalisi

Mafia, i guardiani delle terre ad Adrano: il racket antico degli Scalisi

I retroscena dalle intercettazioni dell'inchiesta sul clan
L'ORDINANZA
di
2 min di lettura

ADRANO (CATANIA) – Nella profonda Sicilia, la mafia dei campi pretende che i pagamenti siano anticipati. Vende servizi di ‘guardiania’ a persone che non ne avrebbero bisogno, se solo non ci fossero i clan. E i ‘clienti’, ovvero le vittime del racket, sono costretti ad accettare. Devono pagare e basta. Perché “noi”, spiega Francesco Mannino, uno degli indagati nell’inchiesta che ha decapitato il nuovo clan riorganizzato degli Scalisi di Adrano, “ci prendiamo un anno in più, per tutti”.

Mannino, quando parla con Angelo Gemmellaro, un altro degli arrestati, non usa mezzi termini: ci vuole accortezza. Quando va dalle vittime, se ci sono problemi deve chiamare lui, non suo fratello Biagio. “Giacché questi, essendo “ubriaco”, “gli alza le mani alle persone” che pertanto “lo vanno a denunciare .. ci vanno a denunciare”, si legge nell’ordinanza del gip Simona Ragazzi.

La ‘guardiania’: il racket dei campi

Uno dei capitoli dell’inchiesta riguarda le numerose richieste di pizzo per servizi di “guardiania”. Una mafia, quella inerente questa costola dei Laudani, organizzazione “satellite” dei Santapaola Ercolano, rurale e antica. Segue schemi fissi. Gli appartenenti al clan capeggiato da Pietro Lucifora, secondo gli investigatori, chiedevano il pizzo alle aziende agricole. E lo facevano quasi a tappeto.

Piccole somme, ma le chiedevano a tanti coltivatori. Biagio Mannino, fratello di Francesco, parlando con un altro presunto appartenente al clan, di fatto ammetterebbe gli affari del fratello.

I boss che si sono susseguiti

Ma sono alcune delle intercettazioni cruciali per l’inchiesta, perché emerge che Mannino era consapevole che a breve si sarebbero messi nei guai. E così, pur lamentandosi del fratello, chiedendosi “come mai non lo hanno arrestato ancora non lo so”, poi si confida. E dice: “Stanno aspettando… ci stanno arrestando… poco ci manca”. In realtà c’è voluto più di un anno, però gli arresti alla fine sono arrivati.

Sono alcune delle storie di mafia che vengono fuori dall’ordinanza. Un documento di quasi cinquecento pagine che passa in rassegna l’evoluzione mafiosa del gruppo afferente al clan dei Laudani. Imussi di ficurinia in passato erano comandati in paese da Pippo Scravaglieri. Poi il capo sarebbe stato Alfio Di Primo. E infine adesso, da questa ordinanza, viene fuori il nome Pietro Giuseppe Lucifora.

Il ruolo di Lucifora

Si tratta ovviamente di ipotesi di reato, i processi devono ancora concludersi o in certi casi, come per Lucifora, cominciare. Sta di fatto che Lucifora è accusato di associazione mafiosa con l’aggravante di essere il capo, promotore e referente dell’organizzazione. Dall’ordinanza, si evince che in un’intercettazione, lui l’avrebbe pure detto. Avrebbe avuto contatti con un detenuto, detto “Giannimelodico”, con attestazioni reciproche di affetto e cuoricini.

Avrebbe espresso preoccupazione per il mantenimento dei detenuti del gruppo. E autorizzato il fratello Mario a entrare nel gruppo mafioso. E avrebbe fornito informazioni a un altro mafioso sulle estorsioni ai venditori ambulanti, “per cui parla di “50 e 50”, ovvero di una ‘equa ripartizione’ tra il loro gruppo mafioso e quello antagonista dei Santangelo Taccuni”.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI