CATANIA – Confermare la sentenza del gup. Un verdetto che lo scorso anno ha messo un punto nella storia giudiziaria del clan Nicotra di Misterbianco, considerandola un’articolazione della mafia catanese e in particolare una cellula della famiglia Mazzei. Un nodo focale che la pg Iole Boscarino ha evidenziato anche nella requisitoria del processo d’appello, rito abbreviato, frutto dell’inchiesta Gisella. Alla sbarra Filippo Buzza, Domenico Agosta, Daniele ‘manitta Di Stefano, Rosario Salvatore Cantali, Emanuele Agosta, Filippo Di Stefano, Giuseppe Antonio Navarria. Molti sono ritenuti i componenti del gruppo dei ‘Tuppi’ (chiamati così per l’acconciatura a chignon) di Motta Sant’Anastasia.
La pg prima di entrare nel merito delle accuse ai singoli imputati ha voluto offrire alla Corte d’Appello una piccolo sunto dell’inchiesta scattata il 30 aprile 2019. Il primo input investigativo arrivava dalle dichiarazioni di Luciano Cavallaro, ex esponente del gruppo mafioso da molti anni. Sin dal periodo della guerra con il clan rivale del Malpassotu. Guerra che ha portato alla fuga dei Nicotra in Toscana alla fine degli anni Ottanta. Secondo la pg, oltre alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ci sono anche le intercettazioni che dimostrano i rapporti soprattutto con Nino Rivilli, tra i vertici del gruppo criminale misterbianchese.
Iole Boscarino ha anche evidenziato che tra gli arrestati del blitz c’era anche il carabiniere Gianfranco Carpino, processato nel rito ordinario, che avrebbe avuto rapporti con Filippo Buzza. La pg trova esatta la valutazione del gup su questo punto. “Il giudice di prime cure ha analizzato 54 conversazioni e alla fine ha concluso affermando che Carpino era un punto di riferimento costante per il gruppo su cui faceva affidamento assieme a Buzza che riferiva nei dettagli dei furti e delle ricettazioni di volta in volta portati a compimento, Carpino comunicava i movimenti delle forze dell’ordine e anticipava gli orari di verifica su Buzza sottoposto all’obbligo di dimora fino ad aprile del 2017 garantendo al gruppo la possibilità di commettere furti e rivelando notizie di ufficio, Distefano faceva da supporto materiale al progetto delittuoso avviato da Buzza con Carpino, infatti in una conversazione parla al plurale “non ti preoccupare che sei messo in conto da parte nostra”.
La magistrata analizzando posizione per posizione ha sviscerato i motivi d’appello dei difensori e ha chiesto alla Corte d’Appello di confermare le condanne di primo grado. Filippo Buzza 14 anni e 1 mese, Domenico Agosta 10 anni e 8 mesi, Daniele Di Stefano 10 anni e 4 mesi, Rosario Salvatore Cantali 4 anni, Emanuele Agosta 3 anni e 8 mesi, Filippo Di Stefano 3 anni e 4 mesi, Giuseppe Antonio Navarria 3 anni e 4 mesi (esclusa l’aggravante mafiosa).