PALERMO – “In atto latitante”, c’è scritto nell’avviso di conclusione delle indagini. Per la giustizia italiana c’è un mafioso in fuga. Giovanni Di Marco, 56 anni, è ricercato dal 31 maggio scorso. Dal giorno in cui i carabinieri andarono a bussare nella sua abitazione di Cerda. Di Marco non era in casa.
Da qualche mese si era trasferito a Brooklyn. Negli Stati Uniti non basta la “generica” accusa di associazione mafiosa per arrestare una persona. E’ necessaria la contestazione dei cosiddetti “reati fine”, cioè reati specifici che vengono commessi in nome e per conto di Cosa nostra.
Ecco perché Di Marco oltreoceano è un uomo libero. In Italia, secondo i pm antimafia di Palermo, l’imputato è stato un pericoloso mafioso. Uno di quelli che faceva parte degli organigrammi della recente Cosa nostra che detta legge in una grossa fetta della provincia. Come si legge nel capo d’imputazione, Giovanni Di Marco merita di essere processato “per aver fatto parte della famiglia mafìosa di Cerda, nella qualità di membro del ‘gruppo d’azione’ capeggiato da Gandolfo Interbartolo, dedicandosi alla commissione di estorsioni, danneggiamenti e atti intimidatori, intrattenendo riservati e clandestini rapporti con diversi sodali del suo mandamento e di altri”.
Insomma, non è l’ultimo arrivato, ma uomo del pizzo capace di dialogare con i boss che contano. Si sarebbe, infatti, occupato anche del tentativo di messa a posto di due cantieri pubblici, quello per il rifacimento di un tratto della Statale 120, tra Caltavuturo e Cerda, e quello che riguardava la strada che conduce a Gangi.
Ad un certo punto, però, Giovanni l’americano, così era soprannominato per i suoi legami e le parentele a Brooklyn, ha deciso di cambiare aria. Forse aveva percepito delle lamentele sul suo operato siciliano o intuito che stesse per finire nei guai giudiziari.