Gli affari e la paura d'essere ucciso | Storia di Bartolone, un boss in fuga - Live Sicilia

Gli affari e la paura d’essere ucciso | Storia di Bartolone, un boss in fuga

Carmelo Bartolone, il latitante arrestato ieri

Lunedì sera Carmelo Bartolone si è presentato in ospedale a Palermo e ha svelato la sua identità. Tutti i retroscena della latitanza. Dagli affari in Emilia Romagna ai contrasti con i vertici del clan di Bagheria. Dal piano per eliminarlo alla sua possibile reazione. Armi in pugno.

PALERMO – È arrivato poco dopo le undici della sera all’ospedale Civico di Palermo. “Scusi, posso parlarle in privato?”, ha chiesto al medico di turno in un affollato Pronto soccorso. “Un attimo, sto visitando”, ha risposto il dottore indicando il paziente disteso sulla barella. Quindi quell’uomo dall’aria tranquilla, con i vestiti neri e un borsone in mano, si e’ avvicinato al metronotte e gli ha sussurrato all’orecchio: “Sono Carmelo Bartolone e sono un latitante”.

Agli agenti dell’ufficio Prevenzione generale della questura è bastato controllare la banca dati per scoprire che sul suo capo pendeva davvero una richiesta di arresto per mafia. La lombosciatalgia di cui Bartolone ha detto ai sanitari di soffrire è sembrata un pretesto per chiudere la sua breve latitanza. Non si smette di scappare per un mal di schiena. Altri motivi sembrano avere spinto il mafioso di Bagheria a consegnarsi. Affari e lotte per il potere: il cinquantaseienne bagherese temeva per la sua vita.

Per ricostruire i suoi ultimi mesi da latitante dobbiamo partire dalla notte del 4 dicembre 2012. I carabinieri bussano alla sua abitazione. Un controllo di routine per uno come Bartolone sottoposto alla sorveglianza speciale dopo avere finito di scontare sette anni e mezzo di carcere per associazione mafiosa. Era uno dei fiancheggiatori di Bernardo Provenzano, condannato al processo “Grande mandamento”. La moglie dice di non avere idea di dove si trovi il marito. Forse è andato da amici. Dall’armadio mancano una valigia e alcuni indumenti. Bartolone diventa ufficialmente un latitante. E tale è ancora l’8 maggio scorso, quando i carabinieri del Nucleo investigativo vanno a notificargli un ordine di arresto. Secondo l’accusa, è tornato nel giro subito dopo la scarcerazione. Sarebbe inserito nel clan guidato da Gino Di Salvo. Un capo decina, proprio come Sergio Flamia.

Il 7 dicembre 2012 i carabinieri ascoltano, a bordo di una Renault Kangoo, la conversazione fra Flamia e Vincenzo Gagliano, anche lui finito in cella nel blitz di maggio. Parlano di Bartolone. E non sono teneri. “Perché è buono che… domani dovesse venire sua moglie che lui ha bisogno aiuto… – dice Flamia – per me può morire… lui l’aiuto lo deve andare a cercare dagli amici suoi…”. E aggiunge: “… no da noi… che noi siamo stati amici suoi… ma lui amico nostro non c’è stato… perché nel momento del bisogno lui non si è fidato degli amici…”. La fuga di Bartolone è stata argomento di discussione anche fra Flamia Di Salvo. Gli investigatori hanno pochi dubbi: Bartolone si è dato alla macchia “per guardarsi da loro”.

I contrasti, dunque, sono insanabili. Bartolone fa le valigie e si trasferisce. Nel Nord Italia, anche se Flamia continua a ripetere “…io se ti dico…come la penso io….per me lui è qua…”. Fino alla vigilia di Pasqua, e cioè ad aprile scorso, di lui c’è traccia a Ferarra. Non è un caso che abbia cercato riparo in Emilia Romagna. È in questa regione, infatti, che Bartolone dopo la scarcerazione ha cercato di fare affari. Per prima cosa si era messo in testa di aprire una discoteca. Il cinquanta per cento dei guadagni sarebbe andato ai mafiosi siciliani. L’affare deve essere saltato, visto che Flamia non risparmiava critiche a Bartolone. Lo definiva un “megalomane” circondato da “truffaldini”. Forse si riferiva agli amici ferraresi che lo hanno ospitato. Una volta, però, i mafiosi di Bagheria avevano fiutato la possibilità di fare soldi grazie all’idea di Bartolone di confezionare abiti fasulli in una fabbrica del Nord. “Tu… una cosa sola avevi portato buona, in mezzo i piedi, il discorso delle cose fasulle, delle magliette, delle camice, dei giubbotti – diceva Flamia – avete chiacchierato per qualche tre giorni, quattro giorni… gli ho detto…’e non ti sei fatto sentire più e non ti sei fatto vedere più’… gli ho detto…’questo ora in questo momento è l’ora che si possono guadagnare i soldi con queste cose per ora alle porte dell’autunno la camicia…il giubbottino, il jeans’… ‘ogni volta discutiamo di miliardi, di cose qua, ci sono i problemi per mettere la pentola’ gli ho detto…”.

Gli investimenti sbagliati targati Bartolone potrebbero avere bruciato i soldi del clan di Bagheria. E l’ex fedelissimo di Provenzano ha capito che era meglio cambiare aria. Forse il progetto di ammazzarlo era davvero in dirittura di arrivo. “… ed io mi devo prendere le boccate amare perché gli ho preso le difese… cornuto ed indegno che è… – diceva ancora Flamia – ed è tanto cornuto… capace che pensa che sono io che lo volevo portare a morire…”.

Chi avrebbe emesso al sentenza di morte? Nella zona di Bagheria si fa sul serio come dimostra il duplice omicidio messo a segno a maggio scorso. I corpi di Juan Ramon Fernadez e Fernando Pimentel, narcotrafficanti spagnoli al soldo dei cartelli canadesi della droga sono stati crivellati di colpi e abbandonati nelle campagne di Casteldacca.

Eppure, nonostante la paura, Bartolone negli ultimi mesi era tornato a casa. Nella sua Bagheria, protetto da alcuni fiancheggiatori. Forse non poteva permettersi il lusso di una costosa latitanza. Oppure per trovare una risposta bisogna rileggere un passaggio della misura cautelare firmata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli. Quella a cui Bartolone è sfuggito l’8 maggio. “È altrettanto indubbio che il principale movente dell’allontanamento sembra da legarsi alla raggiunta consapevolezza che il vertice del mandamento mafioso di appartenenza ne stava programmando l’eliminazione fisica – si legge nel provvedimento -. E’ del resto chiaro che sia il Flamia che il Di Salvo abbiano il concreto timore che Bartolone, consapevole del progetto omicidiario nei suoi confronti, possa approfittare della clandestinità per programmare, ed evidentemente realizzare, azioni offensive nei loro confronti attirando sulle proprie posizioni sodali della consorteria bagherese a lui fedeli e scontenti della gestione del Di Salvo”.


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