Quei segreti nelle lettere dei boss| La posta dal carcere ai raggi X - Live Sicilia

Quei segreti nelle lettere dei boss| La posta dal carcere ai raggi X

i fratelli Giovanni e Giuseppe Di Giacomo durante un colloquio in carcere

I protagonisti dello scambio epistolare sono Giovanni Di Giacomo, killer del clan di Porta Nuova, e suo fratello Giuseppe, che aveva scalato le posizioni di vertice del mandamento prima che qualcuno ne bloccasse l'ascesa con il piombo per le strade del rione Zisa.

PALERMO – Gli ultimi segreti della mafia palermitana, e forse la chiave di un omicidio, passano dall’analisi della corrispondenza di un boss ergastolano e di suo fratello, poco prima che venisse crivellato di colpi.

I protagonisti dello scambio epistolare sono Giovanni Di Giacomo, killer del clan di Porta Nuova quando sulla fetta centrale della città di Palermo regnava Pippo Calò, e suo fratello Giuseppe, che aveva scalato le posizioni di vertice del mandamento prima che qualcuno ne bloccasse l’ascesa con il piombo per le strade del rione Zisa. I due parlavano parecchio, tanto che i loro dialoghi nella sala colloqui del carcere di Parma, riempita di microspie, sono serviti per arrestare boss vecchi e nuovi.

Parlavano senza temere le microspie. A volte cercavano di intendersi più a gesti che a parole. In altre circostanze, forse, i loro dialoghi erano volutamente espliciti. Alcune faccende, però, le affidavano alla carta. Dopo l’omicidio, i carabinieri sono piombati nella cella dell’ergastolano e hanno sequestrato la sua corrispondenza, in entrata e in uscita. “Si è appurato che le lettere – si legge in un’informativa consegnata nei mesi scorsi ai pubblici ministeri e inserita in un fascicolo processuale – sono confezionate con accorgimenti idonei ad evidenziare un possibile tentativo, da parte degli organi investigativi, di apertura della corrispondenza”.

Alcune buste, ad esempio, “sono chiuse nei lembi con abbondante colla e con molteplici sigle scritte a penna”. Nella stessa busta era stato posizionato un foglio di carta, in modo tale che un eventuale tentativo di apertura sarebbe stato evidente. Ed ancora: “Alcune lettere, inserite nelle buste, a loro volta sono avvolte all’interno di un foglio di giornale ben sigillato e con sigle e scritte a penna che qualora fosse aperto, sarebbe difficilmente nella sua interezza”.

Perché tutti questi accorgimenti? Solo voglia di difendere il diritto alla riservatezza, nonostante la scomoda posizione del “fine pena mai” per mafia e omicidio? Certo Giovanni Di Giacomo non aveva preventivato che quella posta sarebbe finita nelle mani dei carabinieri perché, soprattutto, non aveva messo nel conto che il fratello venisse ammazzato in una faida per il potere interna al mandamento. Quale sia il contenuto delle lettere resta confinato alla materia investigativa e dunque segreta.

Quelle fra i due fratelli non sono le uniche lettere in mano ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia palermitana. È stata, infatti, sequestrata anche la corrispondenza fra Giovanni Di Giacomo e Salvatore Sorrentino, quando quest’ultimo, affiliato alla famiglia mafiosa di Pagliarelli, era ancora detenuto a Benevento. Lo studentino, così è soprannominato Sorrentino, era innanzitutto addolorato per la morte di Giuseppe Di Giacomo.

Da qualche mese Sorrentino è tornato in libertà dopo avere scontato una lunga condanna. Cinquant’anni compiuti, aveva iniziato facendo il rapinatore per finire a comandare la famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia. Era vicino a Nino Rotolo, ma poi si era sparsa la voce del suo tradimento nei confronti del boss. Nella guerra fra il capomafia di Pagliarelli e Salvatore Lo Piccolo, Sorrentino avrebbe scelto di schierarsi con il boss di San Lorenzo. Voci dal mondo di Cosa nostra, confermate, di recente, da Vito Galatolo, boss pentito dell’Acquasanta: “Prima del mio arresto era in corso l’idea di commettere l’omicidio in danno di Fabio Scimò, uomo d’onore di Corso dei Mille, e di tale Salvatore Sorrentino di Pagliarelli. Quest’ultimo in particolare era ritenuto il traditore dei rotoliani”. Ci sono anche le sue lettere nel patrimonio investigativo in mano ai carabinieri.


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