TRAPANI – L’intercettazione è del 4 Giugno 2021. A parlare due dei soggetti arrestati nell’ambito dell’operazione Hesperia. Ad ascoltare i campobellesi Piero Di Natale e Marco Buffa sono stati i Carabinieri del Comando Provinciale di Trapani. Buffa è un vecchio uomo d’onore, lo ammette lui stesso parlando con Di Natale, “io al posto tuo ci sono stato dal ’96 al 2004….tu ad Andrea Manciaracina (capo mafia mazarese, figlio di boss, famoso per essere stata la persona, in giovane età, che si appartò a parlare con il ministro Andreotti durante una visita a Mazara del Vallo) non lo hai mai conosciuto.
Il pizzino
Piero Di Natale era diventato frattanto il braccio destro di Franco Luppino, il cosiddetto “zio Franco”, o chiamato pure “Gianvito”, quello che su incarico del latitante Matteo Messina Denaro, per il quale è spuntato fuori un uovo alias, “Ignazieddu”, era diventato il capo della “provincia” di Trapani. Grande confidenza tra i Luppino e Di Natale, tanto che Di Natale confidava a Buffa di aver potuto leggere i “pizzini” mandati dal super ricercato allo “zio Franco”. Di Natale riferiva a Buffa quindi quello che aveva letto: “allora in uno degli ultimi (pizzini ndr) gli ha d e t t o . salutami a S a n d r o n e (persona che i carabinieri non sono riusciti a identificare ndr) e digli che io sono qua come prima anzi più di prima”. Un “pizzino” importante dove il boss ricercato dal giugno del 1993, avrebbe inanellato una serie di nomi: ” io (a parlare ancora Di Natale) personalmente stavo svenendo per la serie di nomi che ci sono stati”. Il testo dell’intercettazione salta fuori dai faldoni dell’indagine Hesperia, che il prossimo 2 febbraio arriva dinanzi al gup del Tribunale di Palermo, giudice Ermelinda Marfia.
L’indagine
Si tratta dell’udienza preliminare nei confronti di 35 indagati, dopo la richiesta di rinvio a giudizio firmata dai pubblici ministeri Francesca Dessì, Pierangelo Padova e Alessia Sinatra della Procura distrettuale antimafia di Palermo. Principale indagato è stato il campobellese Francesco Luppino, accusato di essere il referente del boss latitante per il comando dell’intera mafia trapanese. L’indagine Hesperia, risultato di un certosino lavoro investigativo dei Carabinieri del Reparto Operativo Provinciale di Trapani, ha messo in luce come Cosa nostra trapanese è tutt’altro che allo sbando e che in questi anni ha avuto la capacità di risorgere come “l’araba fenice”, sempre agli ordini del latitante Matteo Messina Denaro e con capi mafia collaudati come Franco Luppino, capace di attirare anche nuovi sodali. E poi sullo scenario la solita area grigia, per pilotare le aste giudiziarie certamente i mafiosi hanno avuto bisogno di professionisti, quelli che per adesso sono rimasti nell’ombra. E l’inchiesta fa palesare come gli ultimi tra i più vicini favoreggiatori della latitanza di Matteo Messina Denaro, possano essere personaggi incensurati in giacca e cravatta.
Gli affari
Una mafia, quella trapanese, in grado di controllare il tessuto economico – sociale della provincia, condizionare la libertà degli incanti, gestire anche la security dei pubblici locali, occuparsi di recupero crediti. Interessi mafiosi sono stati scoperti anche nell’ambito di alcune aste giudiziarie, una rete per controllare acquisiti di immobili, terreni, alberghi in pregiate località turistiche come Tre Fontane, Mazara, Selinunte ed Erice. Tutte operazioni possibili “con il benestare di Castelvetrano” dicevano gli intercettati finiti sotto inchiesta, e che per questo si rivolgevano apposta allo “zio Franco”. Tra gli affari monopolizzati anche quelli legati al ricco mercato oleario di Campobello di Mazara. A fare il prezzo sempre lui, Francesco Luppino, e a chi gli obiettava che il prezzo non era rispondente alle offerta sul mercato, lui minaccioso rispondeva “qui mercato non ce ne è”.
Il progetto
Il 22 febbraio 2020 Antonino Nastasi viene ascoltato dai Carabinieri a colloquiare con Di Natale e con Luppino. Tra le altre cose dette, Nastasi svela un progetto. Perfettamente in linea con gli affari più antichi tanto cari ai famigerati Messina Denaro. Il traffico di opere d’arte di provenienza archeologica. Don Ciccio Messina Denaro, il vecchio patriarca del Belice, morto da latitante nel novembre 1998, ne era un appassionato, da tombarolo di Selinunte diventò un trafficante d’arte. Tanto da commissionare e poi tentare di gestire in Svizzera prima e negli Stati Uniti dopo, la vendita del famoso “Efebo” selinuntino, una statuetta del V secolo a.C., trovata nel 1882. Il furto fu compiuto nell’ottobre 1962, la statuetta era posta nell’anticamera dell’ufficio del sindaco di Castelvetrano. Nessuno conosceva il valore, tanto che il sindaco lo usava per posarvi sopra il proprio cappello. Don Ciccio Messina Denaro invece conosceva il valore e dopo averlo rubato tentò di piazzarlo nei mercati clandestini. Ma non ci riuscì e l’Efebo, oggi sotto una teca in vetro, nel museo a Castelvetrano che porta il suo nome, venne recuperato nel 1968 in Umbria a Foligno, dove era stato portato, dopo essere stato recuperato dalle macerie di una casa di Gibellina, dove era stato nascosto, distrutta dal terremoto del gennaio 1968. Amante di opere d’arte anche il latitante Matteo Messina Denaro. Il boss tentò di far rubare nella primavera del 1998 la statua bronzea del “Satiro danzante” la statua che era stata “pescata” dalle reti del motopesca “Capitan Ciccio”. Tornando alla intercettazione tra Nastasi, Luppino e Di Natale, il primo ad un certo punto dice di guardare delle foto sul telefonino, parlava di “anfore, cose antiche”. Nastasi faceva cenno ad una persona, senza farne il nome, che gli aveva mandato quelle foto, con l’espresso invito a farle vedere a Luppino. Di Natale ad un certo punto per far capire a Luppino di chi si parla, gli dice, “ti dico me ne hanno parlato … no, non ne faccio nomi … di uno che ha il capello circolare tipo l’avvocato Corrao (il riferimento al defunto senatore Ludovico Corrao, noto perché portava cappelli a falda larga ndr).
I ruoli
Tutti gli indagati sono indicati dalla Procura di Palermo con ruoli diversi ma tutti a disposizione di “Ignazieddu”, il più recente degli “alias” del super latitante di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, 60 anni, trenta dei quali trascorsi da super ricercato. “Ignazieddu” lo appellava così il suo luogotenente, il campobellese Francesco Luppino, “lo zio Franco” o detto anche “Gianvito” dai suoi sodali mafiosi. Franco Luppino moltissimi anni addietro fu arrestato per omicidio, ma grazie ad una legge svuota carceri, negli anni ’90 tornò libero, il delitto era di mafia, ma al momento della condanna non gli fu contestata l’aggravante, e così tornò libero nella sua Campobello di Mazara, omaggiato nelle più importanti occasioni, e ad ogni processione religiosa puntualmente il corteo si fermava davanti casa sua. Fu arrestato nei primi anni del 2000 , scontò la condanna ma a settembre scorso è tornato in cella, ma stavolta l’imputazione è più pesante, lui per i magistrati antimafia è il capo mafioso della provincia, su delega del latitante. “Per adesso il perno di tutto è lui” , così di Luppino sono stati sentiti parlare due mazaresi, uno dei quali imparentato con la famiglia di un importante mafioso oramai deceduto, Mariano Agate. Uno “potente” lo “zio Franco”, “il numero uno della provincia di Trapani”, commentavano un paio di mafiosi palermitani. Nel corso delle indagini i Carabinieri sono riusciti a ricostruire la rete di rapporti anche al di là della provincia di Trapani, con Cosa nostra palermitana, agrigentina e catanese.