Qualcuno parlava troppo | A Pagliarelli fu caccia all'uomo - Live Sicilia

Qualcuno parlava troppo | A Pagliarelli fu caccia all’uomo

La rete di protezione dei boss basata sul silenzio faceva acqua da tutte le parti. Lo rivela un'intercettazione del 31 marzo 2011 che, già allora, svelava i nuovi assetti mafiosi nei mandamenti di Porta Nuova e Pagliarelli.

PALERMO – Qualcuno parlava troppo. Bisognava serrare i ranghi per evitare che circolassero notizie riservate sui nuovi assetti di Cosa nostra. La rete di protezione dei boss basata sul silenzio faceva acqua da tutte le parti. Il campanello d’allarme suonò quattro anni fa, tracciando una mappa aggiornata del potere che le indagini avrebbero confermato negli anni a venire.

Il 31 marzo 2011 veniva registrata una conversazione tra Giuseppe Bellino (arrestato alcuni mesi dopo), Giovanni Castello (giù condannato per mafia ed estorsione, affiliato alla famiglia di Ballarò) e Salvatore Sansone, allora da poco scarcerato e tornato in cella la settimana scorsa nel blitz Verbero dei carabinieri assieme ai nuovi presunti boss del mandamento di Pagliarelli. Sansone, considerato legato alla famiglia dell’Uditore, informava i due interlocutori delle notizie riservate apprese da un suo informatore in contatto con un membro dell’organizzazione. Bellino voleva sapere se la sua fonte fosse informata sugli attuali assetti di Cosa nostra: “Scusami invece tipo geograficamente parlando?’.

L’uomo misterioso informato lo era avvero: “Dice al di sopra di tutti, Alessandro”. Secondo gli investigatori stava parlando di Alessandro D’Ambrogio che due anni dopo, nel 2013, sarebbe stato arrestato con l’accusa di essere il reggente del mandamento di Porta Nuova. Sansone era turbato: “Lasciamo andare che è vero, io lo so che è vero, però come lo dice, come lo fa a saperlo”. Altro personaggio che il soggetto misterioso piazzava al vertice era Michele Armanno, che da lì a pochi mesi sarebbe stato arrestato, con l’accusa di avere preso le redini a Pagliarelli: “Ah per ora il più… quello più forte… dei nostri tempi… zu Michele forever”.

Castello sperava di potere conoscere al più presto la fonte delle notizie perché “fosse buono che uno sapesse e ci darebbe un colpo di… ma che dici?… ma poi chi è che le fa le cose poi si prende le sue responsabilità. Vedi che qua non stiamo babbiando. Picciotti vedi che noialtri ridiamo … però… “. “Non c’è niente da ridere, Giovanni, io te lo sto venendo a dire… – diceva Sansone preoccupato – sì io te lo sto dicendo proprio per questo motivo… io te lo sto dicendo per guardarvi un poco, fare un po’ di cernita”. Secondo i tre, a parlare troppo era qualcuno “uno di noi”, qualcuno “della Ballarò”, vicino allo stesso Castello o a D’Ambrogio. Per il bene dell’organizzazione Sansone era pronto a rivelare l’identità del suo informatore per arrivare alla talpa: “Ti faccio sapere chi è, poi tu te la sbrighi diversamente… “. Ad una condizione, però: “… vedi che io a quel picciuttieddo non lo posso… giusto è non lo dobbiamo nel tritacarne… perché è un lavoratore, dico…”. Non voleva ci fossero conseguenze per il suo amico che andava tutelato. Non sappiamo se colui che parlava troppo sia mai stato identificato e cosa gli sia accaduto.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI